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La scuola
al contrario

Andare a scuola in una classe capovolta, aiuta a raddrizzare le idee: l’esperimento funziona da due anni nell'istituto comprensivo di Bosco Chiesanuova che raccoglie i plessi scolastici dei Comuni dell’Alta Lessinia, da Erbezzo a Velo, con Cerro e Roverè e trova sempre più entusiastici sostenitori in alunni e insegnanti.

Non basta girare i banchi e le lavagne per fare una scuola capovolta: ci vuole dell’impegno e sopratutto convinzione, prima negli insegnanti, che sono i meno permeabili alle novità, e poi negli studenti, che credono sia tutto più facile, ma invece si trovano a dover lavorare di più e meglio.

L’idea della «flipper classroom» era partita con la precedente dirigente scolastica Stefania Be, che aveva usufruito del patrimonio tecnologico messo in campo dal suo predecessore Donato De Silvestri, ed è stata abbracciata con entusiasmo anche dal nuovo dirigente Alessio Perpolli. È in pratica ribaltato il tradizionale ciclo di apprendimento fatto di lezione frontale, studio individuale a casa e verifiche in classe, con un rapporto docente-allievo rigido e gerarchico.

La «sacra trinità», come l’ha definita il linguista Tullio De Mauro (insegnante che tra cattedra e lavagna racconta quel che nel libro è già scritto; studio del libro a casa; di nuovo in classe, con verifiche e interrogazioni), viene capovolta: in classe ci si interroga insieme e si dimostra di aver capito o l’insegnante aiuta a capire meglio, quello che ciascuno ha già visto a casa propria accendendo il computer e scaricando le app o i video dove la lezione viene presentata.

I «FLIPPATI» di questo sistema sono i ragazzi e gli insegnanti che cambiano radicalmente approccio alla materia e agli argomenti: si fa così non solo matematica e scienze, ma anche italiano e storia e perfino religione. Diego Grazioli è proprio un insegnante di religione, collaboratore del dirigente scolastico con il collega Emanuele Miliani per la formazione strumentale e l’innovazione tecnologica: «La tecnologia di per sé non migliora l'apprendimento, ma serve a metter in pratica alcune pratiche che senza tecnologia sarebbero più complicate», spiega. «Ogni studente ha un proprio account protetto dove riceve i contenuti messi in rete dagli insegnanti. Gli alunni fra di loro e con l’insegnante possono interagire e la struttura è stata studiata apposta per favorire i lavori di gruppo non solo a livello tecnologico ma anche di arredamento in classe: i banchi hanno le ruote e sono disposti a isole di quattro. Per ogni isola c’è un dispositivo di connessione (tablet o notebook) e quello che gli studenti realizzano sul proprio dispositivo può essere proiettato su un televisore a grande schermo che domina la parete della classe o su una lavagna interattiva. Così nasce un ambiente dove è facile interagire, mostrare agli altri quello che si fa, correggersi reciprocamente».

Per ora c’è un’aula di questo tipo in ogni plesso della secondaria e a Erbezzo anche nella primaria: l’ideale sarebbe che ogni classe si capovolgesse, ma la trasformazione costa 20mila euro ad unità.

Per adesso si fa con quel che si ha, ma anche con le risorse umane che sono a disposizione. Infatti il punto critico è la formazione degli insegnanti che è su più livelli: robotica educativa e coding (logica computazionale); utilizzo di Google App Education e cloud computing; stampa in 3D su stampante di cui l’istituto è provvisto da anni; partecipazione a seminari regionali di formazione per educatori digitali. L’istituto comprensivo di Bosco Chiesanuova è all’avanguardia perché i suoi insegnanti, in particolare Grazioli e Miliani sono a loro volta formatori di altri insegnanti.

NON OCCORRE ATTENDERE le medie per partecipare a una «classe flippata» tant’è che Roberta Busato insegna robotica e pensiero computazionale già alla primaria. Usa delle api che possono essere programmate per operazioni semplici legate alla lateralità (destra, sinistra, avanti, indietro) comandate da tablet sul quale gli alunni hanno scritto i codici per far eseguire loro questi movimenti su una griglia che si sono disegnata. Il passo successivo è un kit della Lego che unisce mattoncini classici a motori elettrici e sensori tutti programmati secondo le logiche dell’informatica.

«È un lavoro possibile solo con insegnanti che ci credono, danno disponibilità e accettano di formarsi», ammette il dirigente Perpolli che ha la soddisfazione di ospitare anche docenti delle scuole superiori di Verona attirati a Bosco dagli alunni che escono dalla sua scuola e ne sanno più di loro in materia di informatica e robotica. «Sono orgoglioso dei miei insegnanti, desiderosi di mettersi in discussione e ricercare, che hanno voglia di cambiare e adeguare questa scuola alla realtà».

«Non buttiamo via la tradizione, anzi, riteniamo che tradizione e innovazione siano due polmoni dello stesso organismo: sta bene se entrambi respirano bene», conclude il dirigente scolastico.

Vittorio Zambaldo

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