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Il paese si ferma
per l’addio
a don Ferrarese

Un grande numero di sacerdoti ha concelebrato il rito funebre con il vescovo FOTO PECORA
Un grande numero di sacerdoti ha concelebrato il rito funebre con il vescovo FOTO PECORA
Un grande numero di sacerdoti ha concelebrato il rito funebre con il vescovo FOTO PECORA
Un grande numero di sacerdoti ha concelebrato il rito funebre con il vescovo FOTO PECORA

L’intero paese ha partecipato ieri all’ultimo saluto a don Tullio Ferrarese, nelle esequie celebrate dal vescovo monsignor Giuseppe Zenti nella chiesa parrocchiale, troppo piccola per accogliere tutti coloro che hanno voluto manifestare la propria riconoscenza a un prete semplice, che ha sempre avuto come chiodo fisso le missioni e la gente di Cerro, tanto da aver lasciato come ultime volontà il desiderio di essere sepolto nel cimitero del paese.

Caratteristiche che sono state tracciate dal parroco don Franco Dal Dosso, che ha ricordato la sensibilità, il carisma e l’attaccamento alla gente di Cerro del suo precedecessore.

Tregnaghese, classe 1928, 89 anni compiuti lo scorso 8 aprile, Tullio Ferrarese era stato ordinato nel 1951 ed era stato curato a Garda per quattro anni e a Vestenanova per altri sette, prima di arrivare a Cerro nel 1962 come curato per i primi quattro anni e poi parroco fino al 1999 e infine collaboratore fino al 2009, anno in cui si è ritirato a Casa Perez a Negrar. Ma a Cerro ha voluto conservare il suo appartamento, con i suoi libri e i suoi oggetti più cari, perfino la sua auto in garage: «Non si sa mai che un giorno possa tornare e come farei senza auto?», chiedeva ai cerresi che lo andavano a trovare regolarmente.

Il paese lo ha amato e tutti riconoscono in lui «il prete della svolta», quello arrivato in paese quando stava scoppiando il boom del turismo e delle seconde case. Sono legate al suo nome opere importanti e tuttora utilizzate come il teatro, la palestra e la sede del circolo Noi. È merito suo aver allargato ai parrocchiani la visione sul mondo, invitandoli a partecipare a settimane di lavoro in Sudafrica nelle missioni dei padri Stimmatini. Da Cerro partirono ogni anno, artigiani, muratori, carpentieri, ma anche tante donne e ragazze: ci fu il primo gemellaggio con una missione e nei primi anni Settanta il paese ospitò per alcune settimane due persone di colore venute a conoscere gli amici italiani a casa loro e per quegli anni fu un evento speciale.

Aveva un occhio di riguardo per tutti i neolaureati del paese, ai quali chiedeva in omaggio una copia della tesi che conservava gelosamente nella sua libreria: argomenti anche lontanissimi dai suoi interessi, ma di cui andava fiero come fossero stati scritti da figlioli suoi.

Gli si deve l'iniziativa dei pellegrinaggi a piedi da Cerro al santuario della Madonna della Corona, «a cui ha partecipato con la sua tonaca svolazzante fra sentieri e rovi finché l’età glielo ha permesso», ricorda con simpatia Nerina Poggese, la poetessa del paese che don Tullio coltivò fin dall’adolescenza, contribuendo a pubblicare in due raccolte le sue composizioni e utilizzando il ricavato per le necessità della parrocchia.

Tutti lo ricordano come uomo di poche parole, ma vicino ai sentimenti e alle sofferenze dei fedeli che gli erano affidati.

Gran tifoso del suo chierichetto Damiano Cunego, andò ad aspettarlo all'arrivo della vittoriosa tappa di Falzes sulle Dolomiti che decise il Giro d’Italia da lui vinto nel 2004. In casa, vicino all’ingresso, teneva il poster autografato dal campione con la foto di Papa Giovanni e la riproduzione di una stele votiva della Lessinia in centro: «Sono cose diverse, non confondiamole, ma stanno bene insieme», aveva detto al cronista che lo stuzzicava su quei campioni di bontà e di muscoli.

Il Comune, durante l’amministrazione del sindaco Paolo Garra, gli aveva conferito cinque anni fa la cittadinanza onoraria, riconoscendo i suoi meriti ben oltre quelli della doverosa cura delle anime. Il sindaco di oggi, Nadia Maschi ha voluto che al funerale ci fosse anche il gonfalone del paese e riconosce che «don Tullio ha lasciato un segno indelebile nella storia del paese: tanti lo hanno amato e lui ha voluto bene a tutti». Una perdita per il paese, ma anche per il clero che, come ha detto il vescovo Zenti («è il mio ventunesimo funerale di un prete») si sta assottigliando. V.Z.

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