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Il nome del disertore Anderloni
è tornato sul monumento ai Caduti

Ci sono voluti cent’anni, dalla morte del disertore Alessandro Anderloni, ma domenica come tutti i suoi compagni Caduti nelle due guerre mondiali, ha avuto l’onore di essere celebrato con la cerimonia di commemorazione e la posa di una corona d’alloro ai piedi del monumento dove il suo nome era stato scalpellato la sera del 5 agosto 1922 da una ventina di fascisti saliti da Verona decisi a «ripristinare l’ordine e il decoro».

Il paese aveva reagito duramente prima, quando si trattò di dimostrare con le buone maniera che quel nome, sebbene di un disertore che era scappato dal fronte per rivedere la figlioletta di 4 anni rimasta orfana della madre, aveva pieno diritto di stare sul monumento perché, «se è indegna la sua figura lo è anche di altri quattro soldati di Roverè i cui nomi sono incisi sul monumento» avevano risposto al commissario prefettizio. I concittadini si astennero invece dal reagire con violenza al sopruso fascista.

Passarono i decenni è arrivò un’altra guerra e altri nomi si aggiunsero sul monumento.

La storia di Anderloni, dimenticata, fu riscoperta dall’omonimo regista di Velo che la portò in scena nel 2009 con le Falìe innescando il processo di riabilitazione che si è concluso nel centenario della Grande guerra e della morte di Anderloni avvenuta la mattina dell’8 marzo 1917 per la ferita riportata il giorno prima in seguito a un colpo di rivoltella partito da un plotone di carabinieri che stava rastrellando la zona di contrada Negri alla ricerca di disertori e renitenti alla leva.

LA VICENDA è stata ricostruita nel libro di Anselmo Aganetti che riprende nel titolo una frase incisa sul monumento: «Tanto per voi dolorammo. Amatevi o fratelli».

In un centinaio di pagine sono ripercorse in maniera documentata e attenta le vicende che hanno portato alla costruzione del monumento e alcune storie particolari, oltre a notizie ricavate dai fogli matricolari dei Caduti. Nel libro ci sono anche le storie degli altri quattro «indegni» incisi sul monumento in forza dei quali i 261 capifamiglia di Roverè (tutti eccetto uno) firmarono per la presenza anche del nome del disertore. Si tratta di Cirillo Vilio morto in prigionia a Gaeta appena prima della fine della guerra e dopo due condanne, l’ultima a 25 anni di carcere, sempre a causa di insubordinazione; Giocondo Corradi di cui si diceva che fosse stato ucciso al fronte dai suoi superiori per disobbedienza durante la ritirata di Caporetto; Domenico Canteri il cui corpo fu trovato nel Canale Milani e si pensò al suicidio; Emilio Scardoni, classe 1900, chiamato alle armi a 18 anni compiuti da appena tre giorni e anche lui morto annegato a Castelnuovo Scrivia sei mesi dopo, probabilmente suicida.

Nel Teatro San Nicolò la Schola cantorum diretta dal maestro Gianni Scardoni ha reso intima e partecipata la presentazione intonando canti a tema, alternandoli con la lettura di brani del libro e lettere di soldati dal fronte.

«Con questo lavoro ho cercato di dare a tutti un minimo di dignità», ha detto Aganetti, «ed è stato entusiasmante la ricerca di queste storie, anche se non ho la presunzione di aver trovato tutto ma mi sono aggrappato alla volontà di trovare sempre qualcosa per ciascuno dei Caduti, anche quando le notizie alla fine sono risultate scarne per qualcuno».

Fabrizio Pomari, capogruppo degli Alpini di Roverè, dai quali è partita l’iniziativa per il restauro del monumento ai Caduti su progetto dell’architetto Antonio Trevisani, ha riconosciuto il grande lavoro svolto «per dare al paese la possibilità di riconoscersi in un frammento della propria storia».

Vittorio Zambaldo

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