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Il Dna ha sfatato il mito
I cimbri non sono
«nipotini» dei barbari

Un piccolo cimbro in una foto scattata a Giazza nel 1941
Un piccolo cimbro in una foto scattata a Giazza nel 1941
Un piccolo cimbro in una foto scattata a Giazza nel 1941
Un piccolo cimbro in una foto scattata a Giazza nel 1941

L’analisi del Dna dei cimbri veronesi ha portato a conferme e smentite. È chiusa per sempre, anche secondo la scienza, l’ipotesi che siano discendenti di quei Cimbri e Teutoni arrivati dallo Jutland, regione a nord della Danimarca e sconfitti ai Campi Raudii (forse nei pressi di Vercelli) dalle legioni romane condotte dal console Gaio Mario nel 101 avanti Cristo. Era un’ipotesi umanistica suggestiva, ma improponibile alla luce della moderna storiografia e linguistica.

Le conferme sono invece che si tratta di una popolazione che ha delle affinità con le altre di lingua germanica presenti nel Nord Italia (in particolare a Sappada, Sauris e Timau), ma conserva anche delle sue peculiarità.

I dati sono stati presentati nel teatro Orlandi di Velo da Giovanni Destro Bisol, docente di Antropologia e biodiversità umana all’università La Sapienza di Roma e dai suoi collaboratori: Paolo Anagnostou, Cinzia Battaggia, Marco Capocasa e Valentina Dominici. La ricerca condotta in collaborazione dall’università con l’Istituto italiano di antropologia è ovviamente più ampia e mira a decifrare la diversità genetica degli italiani tra storia e cultura.

L’équipe del professore Destro Bisol si è concentrata in particolare sulle popolazioni paleogermanofone delle Alpi orientali, mentre per le altre minoranze linguistiche italiane hanno lavorato le università di Bologna, Pisa e Cagliari, portando informazioni su 60 comunità diverse e un totale di 2.875 individui, su 3 milioni di persone che in Italia fanno parte di un minoranza linguistica. Inteerrogandosi se tanta diversità linguistica abbia anche una corrispondente variabilità genetica, i ricercatori sono partiti dallo studio di tre anni fa sul Dna mitocondriale (trasmesso solo dalla madre) che dava una forte diversità fra le popolazioni italiane, quanto, se non di più di tutte le altre popolazioni europee.

Ad esempio i sappadini con i cadorini, entrambi in Veneto e a pochi chilometri di distanza, hanno un insieme di differenze genetiche a livello di Dna mitocondriale 30 volte superiore a quello che hanno portoghesi e ungheresi che pure stanno a distanze 20 volte superiori. In pratica ciò che è sotto gli occhi di tutti, guardando la flora e la fauna dalle Alpi a Lampedusa, è meno evidente ma altrettanto presente nelle cellule degli italiani, risultato di mescolamenti umani, culturali e linguistici unici in Europa.

Uno studio ulteriore che ha preso in esame 88mila marcatori del Dna, ha permesso di ricostruire l’ascendenza biogeografica, cioè la descrizione dell’origine geografica dei pezzi che compongono il Dna di ciascuno, secondo processi che sono avvenuti anche decine di milioni di anni fa. Per ogni analisi è stato elaborato un grafico a cerchi concentrici e segmenti di diversi colori dove quello più interno riporta l’ascendenza biogeografica a livello di continenti, di Europa e di territorio italiano. I cimbri sono al 100 per cento europei, con una percentuale alta di marcatori dell’Europa meridionale (mediamente 57 per cento) simile a quella dei tedeschi (che è al 55 per cento). «I cimbri veronesi sono molti affini per la componente genetica alla popolazione del Nord Italia, ma hanno anche caratteristiche peculiari: possiamo dire che sia una comunità ben integrata nel contesto italiano che ha conservato però la propria anima», ha spiegato Destro Bisol e nel libro che ha appena pubblicato con Marco Capocasa (Italiani. Come il Dna ci aiuta a capire chi siamo, Carocci Editore, 138 pagine, 13 euro) cita espressamente gli incontri con le minoranze linguistiche: «Grazie a loro ci simo convinti che l’idea di un’identità locale non era solamente frutto di un’elucubrazione teorica, ma corrispondeva al sentire delle persone e al loro senso di storia del gruppo»

«La ricerca ci ha confermato che i cimbri della Lessinia hanno vissuto per secoli una vita di relazione con le popolazioni vicine affievolendo gradualmente il legame con la loro lingua, ma hanno conservato un cuore antico che li riporta alle loro origini attraverso la storia, le tradizioni e miti», è stato il commento di Vito Massalongo, presidente del Curatorium Cimbricum Veronense. V.Z.

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