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«Fatelo per le nostre mamme,
non fucilateci!». E si salvarono

Una storia mai raccontata che ha per protagonista un soldato della guerra 1915- ’18 certo Nicodemo Dal Corso, classe 1893 (morì nel 1969), originario di Selvavecchia (Sant’Anna d’Alfaedo) località ai confini col Comune di Erbezzo. Entrato in zona di operazione agli inizi delle ostilità e assegnato al VI Alpini, a guerra finita fu condannato a morte con un commilitone per una bevuta di troppo, ma fu graziato per aver commosso l’ufficiale incaricato dellìesecuzione capitale.

Storia che un lontano parente, Gianfranco Romani, classe 1947 si è deciso solo ora di raccontarci, anche se ne era venuto a conoscenza quando era ancora ragazzo. Fu, infatti nel 1964, quando con suo padre Ruggero Gregorio, la madre Noemi Castelletti e la sorella Leda, che faceva da autìsta, accompagnarono Nicodemo a Padova a ringraziare Sant’Antonio per quella che aveva sempre ritenuto una grazia ricevuta: al ritorno Nicoderno raccontò ai parenti la disavventura a lieto fine.

La guerra era ormai finita, ma di ritornare a casa non se ne parlava. Nicodemo e il suo compagno erano di guardia a una polveriera, quando si misero a parlare fra di loro, non tanto a bassa voce. Si dicevano stanchi, della guerra, mandando alla malora chi l’aveva voluta. Pensarono quindi di potersi concedere qualche bicchiere di vino.

Ma come succede, un bicchiere tira l’altro. Ne tracannarono parecchi. Trovati dalla ronda non proprio sobri, sostennero che avevano diritto di divertirsi un po’; dopo anni di guerra, lontani da casa, senza l'affetto della famiglia. Malgrado il patetico tentativo di difesa, finirono sotto processo. Passata la sbornia, si resero conto della gravità del fatto: chiesero perdono, ma non ci fu per loro misericordia e furono condannati alla fucilazione. Il compagno di Nicodemo non faceva che piangere, implorando clemenza in ginocchio ai piedi dell’ufficiale che doveva dare l’ordine della fucilazione.

Viste infruttuose le suppliche del compagno, Nicodemo tentò un'altra via: ammise la gravità del fatto compiuto e, per questo, riconobbe di meritare la fucilazione, ricordando tuttavia all'ufficiale che non chiedeva pietà per sè, ma per quelle povere mamme che a casa aspettavano da anni il ritorno dei loro figli. A quelle accorate parole, l'ufficiale, mosso a compassione, scoppiò in un dirotto pianto e la fucilazione non venne eseguita. Nicodemo e compagno, poterono così tornare finalmente a casa, in seno alle loro famiglie.

Lino Benedetti

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