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Dieta da lupi

Il panorama sulla Vallagarina dalla Lessinia occidentale, territorio frequentato dai lupi
Il panorama sulla Vallagarina dalla Lessinia occidentale, territorio frequentato dai lupi
Il panorama sulla Vallagarina dalla Lessinia occidentale, territorio frequentato dai lupi
Il panorama sulla Vallagarina dalla Lessinia occidentale, territorio frequentato dai lupi

C’è la dieta vegana, la dieta dissociata, la dieta Dukan. E la dieta dei lupi. A scoprirla Paola Selva, venticinque anni, di Creazzo, Vicenza, laureata da qualche settimana in scienze naturali all’università di Padova con una tesi proprio sull’alimentazione annuale dei grandi carnivori abitanti della Lessinia. Voto 110 e lode per l’elaborato che l’ha vista percorrere in due anni più di 1.040 chilometri di transetti (percorsi quotidiani dei lupi) e oltre 52.500 metri di dislivello, su e giù per i monti veronesi. «Finita la laurea triennale dove già avevo scoperto la mia passione per i grandi carnivori ossia lupo, orso e lince, ho proseguito con gli altri due anni universitari», spiega Selva. «Dovevo cercare la materia sulla quale fare il tirocinio magistrale obbligatorio. Avevo sentito parlare di Giulietta e Slavc, la coppia di lupi che abita qui tra i monti veronesi. Daniele Zovi, il generale del corpo forestale, mi ha messo in contatto con i carabinieri forestali della Lessinia». Paola arriva a Bosco Chiesanuova a giugno 2016, durante un periodo in cui i lupi erano argomento di accese discussioni. «Eravamo tutti titubanti perché non sapevamo bene cosa volesse fare», spiega Fulvio Valbusa, brigadiere dei carabinieri forestali di Bosco, tutor di Paola Selva, «e noi non avevamo tempo da perdere trascinandocela dietro. Temevamo che potesse compromettere il lavoro delicato che stavamo facendo. Invece ci ha stupiti». Paola Selva infatti ha le idee molto chiare fin da subito. «Volevo studiare la dieta del lupo. La cosa interessante era farla qui in Lessinia perché è un contesto diverso rispetto, per esempio, agli Appennini. Nel Veronese il lupo ha un impatto sociale molto elevato e ho sempre pensato che sarebbe stato interessante scoprire cosa mangiano questi canidi, tutto l’anno». Quando Selva propone ai forestali di Bosco la sua idea di tesi, restarono tutti di stucco. «Avevamo mille dubbi, eravamo scettici perché sapevamo che sarebbe stato un lavoro complesso», racconta il tutor Valbusa, «quindi le esprimemmo perplessità. Ma Paola rispose che non le serviva una cosa facile, le serviva una cosa fattibile». PAOLA convince così gli agenti e a luglio 2016 inizia il suo lavoro. Ma come ha fatto Selva a capire cosa mangiassero, estate e inverno, gli esemplari della Lessinia? Analizzando gli escrementi degli animali. «Ogni giorno, per cinque ore, uscivo a raccogliere le “fatte” di lupo. Si riconoscono da quelle degli altri animali perché sono pienissime di peli e ossa, si trovano nei percorsi battuti dagli esemplari, sono di colore molto scuro, quasi nero, hanno un diametro superiore ai 2,5 centimetri e soprattutto puzzano così tanto che la cacca di cane in confronto è Chanel n°5». Da luglio 2016 a giugno 2017 Selva ha raccolto 346 escrementi. «La scorsa estate è iniziata la fase di analisi in laboratorio», continua la dottoressa, «sono andata in un centro in Piemonte per imparare ad analizzarle. Non è affatto facile», ride, «perché devi lavarla, sterilizzarla a 100 gradi per eliminare i batteri e poi analizzare i peli al suo interno». Impresa non certo semplice. «No, affatto», spiega Selva, ho dovuto superare il ‘Blind test’ ossia una prova di riconoscimento a microscopio dei diversi tipi di pelo animale, da quello di capriolo a quello di cervo, dal crine bovino a quello di pecora. Mi hanno sottoposto 120 campioni, ciascuno in una busta chiusa. Margine di errore, uno su 120. Li ho individuati tutti». Superata l’abilitazione, Paola ha iniziato ad esaminare i peli estratti dagli escrementi. E i risultati sono inaspettati. «La dieta dei lupi di solito è estremamente varia e dipende molto dalla zona in cui vivono. In un contesto come quello delle Alpi occidentali, ad esempio, la percentuale di cibo domestico, ossia di animali allevati dall’uomo, si aggira tra lo 0 e il 20 per cento. Qui in Lessinia i lupi mangiano tutto l’anno un 50 per cento di domestico e un 50 per cento di selvatico. Estate e inverno. Percentuali molto elevate rispetto ad altre zone d’Italia, con scarsa alternanza stagionale. Mi sarei attesa una netta prevalenza di selvatico durante la stagione invernale, quando i bovini non sono in alpeggio. E invece così non è». LE CONCLUSIONI di Selva su questi risultati sono molteplici: «I lupi appartengono alla famiglia dei canidi e, come i cani, è possibile seppelliscano porzioni di cibo per farne scorta per i periodi di “magra”. Si chiama fenomeno di caching, documentato in letteratura ma del quale si sa molto poco. Io ho trovato in una fatta invernale peli di cervo estivo, scoperta che potrebbe avvallare la mia tesi». L’altra ipotesi si chiama scavenging, letteralmente mangiare carcasse di animali morti per altre cause. «Siamo certi di almeno un caso documentato di un vitellino trovato morto in inverno in un vaio e non denunciato», spiega Valbusa, «quindi facile carcassa da sgranocchiare per lupi. Poi questa dieta ci fa presumere che qualche animale domestico non venga smaltito in maniera corretta diventando così cibo per lupi». Di una cosa la dottoressa Selva è certa: «La dieta dei lupi dipende sempre da abbondanza e disponibilità. Quanto cibo c’è e quanto è facile prenderlo. Adesso sto cercando un dottorato per continuare le mie ricerche su questi animali, qui in Lessinia. Mi sono trovata benissimo e mi piacerebbe rimanere». •

Serena Marchi

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