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Carbonaia
perfetta
per legna
e «cucchi»

Luca Fiorio con i cucchi cotti nella carbonaia a Giazza
Luca Fiorio con i cucchi cotti nella carbonaia a Giazza
Luca Fiorio con i cucchi cotti nella carbonaia a Giazza
Luca Fiorio con i cucchi cotti nella carbonaia a Giazza

Sono usciti perfetti dai tre giorni di cottura lenta nel cuore della carbonaia, a Giazza, i cucchi di Luca Fiorio e la scultura della Vergine con Bambino dell’artista Michelangelo Marchi. È soddisfatto Fiorio, mentre gira fra le mani e prova il suono dei suoi sei cucchi, tutti uccelli rapaci (civetta, gufo, barbagianni) usciti indenni dall’esperimento di cottura e soprattutto carichi di una colorazione antracite che solo questo procedimento riesce a dare, come lo dava ai buccheri, i caratteristici vasi neri degli antichi etruschi.

«Nessuno mai ha cotto un cucco né un vaso o tantomeno una scultura in una carbonaia e del resto sarebbe un controsenso, ma lo abbiamo fatto per un discorso culturale più che tecnico», ammette Marchi, riconoscendo che in un forno tradizionale sarebbe tutto più semplice e controllabile perché la temperatura si potrebbe pilotare.

«Qui invece è incontrollata, anche se l’esperienza ci ha insegnato, misurando con un pirometro messo dentro alla carbonaia negli anni scorsi, che siamo arrivati anche a 840 °C, tetto massimo raggiunto il terzo giorno di cottura», rivela Marchi, «temperatura più che sufficiente per l’argilla. Non avremmo mai pensato che a fiamma spenta si potesse arrivare a questo livello di calore», conclude.

Fiorio ha iniziato a costruire cucchi, i caratteristici fischietti in terracotta dalle forme animali, quattro anni fa pensando a un regalo diverso per i suoi cinque nipoti: «Stanco dei soliti regali in plastica, sono stato impressionato da un’intervista alla radio a Gianfranco Valente, collezionista di settemila pezzi e ideatore del Museo dei cuchi di Cesuna, sull’Altopiano di Asiago. Sono stato a trovarlo e ho cercato in internet il modo per modellare i primi quattro anni fa con l’argilla. Poi, grazie ai consigli di Michelangelo, sono passato anche alla terraglia bianca per poter colorare e realizzare i cucchi in maiolica». Un lavoro complesso ma che dà soddisfazione perché incanta anche i bambini digitali di oggi, oltre ad allargare gli spazi della nostalgia ai bambini di ieri.

Fiorio è operaio in vetreria e i cucchi li realizza per hobby: «Non sono artista, ma mi piace vedere la gente felice con quanto realizzo con le mie mani», conclude.

I cucchi hanno una lunghissima tradizione nella cultura non solo europea: cambiano forma e metodi di realizzazione, ma sono comuni in molte civiltà. Da noi erano usati come richiami per la caccia ma anche come regalo. Lo donavano i ragazzi alle ragazze in età da marito. Se il cucco era accettato c’era speranza di arrivare al matrimonio; se veniva restituito, il sogno si infrangeva. Ma qualche riottosa non restituiva e metteva il cucco sul camino in bella mostra accumulandone una serie, tant’è che i vecchi mettevano in guardia i giovani di non insistere con chi aveva il cucco sul camino.

Un camino che invece, come quello della carbonaia, si disfa ogni anno, può dare solo soddisfazioni. Nello e Giorgio Boschi, ultimi carbonari di Giazza, hanno passato tre giorni sotto l’acqua, ma il risultato è stato eccellente: i 50 quintali di legna accatastata sono stati interamente trasformati in ottimo carbone vegetale, dieci quintali, che darà un tocco unico ai piatti dell’Osteria Ljetzan.

E nei cinque giorni che è rimasto attivo il collegamento con la webcam fornita da Ecocam e messa in rete grazie alla banda larga fornita da Lessnianet, sul sito «osterialjetzan.it» o sulla pagina Facebook «Carbonari di Giazza-Koular ’un Ljetzan» sono stati ben 41.237 i collegamenti da tutto il mondo. V.Z.

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