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«Ho i miei cittadini
da curare, per altri
non farò niente»

Mario Faccioli, sindaco di Villafranca
Mario Faccioli, sindaco di Villafranca
Mario Faccioli, sindaco di Villafranca
Mario Faccioli, sindaco di Villafranca

Non aveva comunicato alla Prefettura se intendeva aderire o meno allo Sprar che prevede l’accoglienza dei rifugiati con la diretta partecipazione del Comune. E così Villafranca ospiterà con il sistema privato - affidato a una cooperativa - una cinquantina di nuovi richiedenti asilo, distribuiti ieri dalla Prefettura insieme a molti altri in tutta la provincia.

Le persone assegnate a Villafranca abiteranno nelle frazioni di Quaderni e Rosegaferro. La città, secondo il calcolo di tre richiedenti ogni mille abitanti, deve occuparsi di 98 persone, 44 delle quali sono già state inviate mesi fa - tramite la Prefettura e assistite da alcune cooperative- nel capoluogo e a Rosegaferro. Nella frazione, seguiti dalla Famiglia Felice di Verona una dozzina di persone vive da tempo e si dedica anche alla cura dell’orto e del pollaio. E c’è chi ha frequentato un corso per diventare pizzaiolo. Ora si aggiungono i nuovi arrivati. Ma il sindaco Mario Faccioli non parteciperà al progetto di accoglienza, non credendo nel sistema privato.

Sindaco, da domani che cosa farà il Comune per queste persone?

Niente. Ho già i miei cittadini da curare. Non siamo neppure stati avvisati del loro arrivo. Ringrazio come sempre il Prefetto e i componenti della Prefettura per la sensibilità di comunicare al sindaco e al territorio cose di questo tenore. Ormai i rifugiati sono più importanti di chi vive qui. È davvero edificante! Non ho parole di stima e di vicinanza.

Che cosa non va in questa soluzione?

Il numero di persone non è un problema, è quello che un Comune come il nostro può sostenere. Ma così non c’è un controllo di queste persone. E ciò che disturba i cittadini è vedere quanto denaro viene erogato al giorno alle cooperative che si occupano dei richiedenti. Ma, soprattutto, di rifugiati politici qui non ce n’è uno. Mi chiedo chi siano queste persone. Come siano arrivate. Se con il barcone o in altra maniera. Nessuno scappa dalla guerra. Inseguono una speranza, hanno famiglia nel loro Paese.

Quale sarebbe la sua soluzione?

La collaborazione tra cittadini, disponibili a dare alloggi, Comune e cooperative locali.

È sempre onere della politica dei Comuni, ma la politica «alta» cosa dovrebbe fare?

Primo: un controllo e un supporto reciproco internazionale. Secondo: vanno redatti progetti di accoglienza e integrazione con persone accomunate da ceppi linguistici, religione o provenienza. Un unico programma per un siriano, un subsahariano, un musulmano e un cristiano non funziona. Alla base deve esserci un fondo culturale condiviso. La gestione logistica può essere semplice ma servono progettualità e l’obbligo-dovere di queste persone di inserirsi.

Pensa di poterle coinvolgere in progetti magari nell’ottica di lavori socialmente utili?

Può essere un’idea. Vedremo. I richiedenti che già vivono qui hanno contattato il vicesindaco Nicola Terilli, delegato al sociale, chiedendo di poter fare qualcosa perché sono inattivi durante il giorno. Di certo non metterò loro il bastone tra le ruote.

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