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Maestra uccisa a coltellate
Quindici anni all’ex compagno

Alessandra Maffezzoli con uno dei suoi figli
Alessandra Maffezzoli con uno dei suoi figli
Alessandra Maffezzoli con uno dei suoi figli
Alessandra Maffezzoli con uno dei suoi figli

Quindici anni e quattro mesi di carcere, con l’esclusione dell’aggravante dei futili motivi. È questa la condanna, con rito abbreviato, che il giudice per l’udienza preliminare Raffaele Ferraro ha inflitto a Jean Luc Falchetto, barista di 54 anni, accusato di aver ucciso l’ex compagna, la maestra elementare Alessandra Maffezzoli di Pastrengo l’8 giugno dello scorso anno.

Ieri, nell’aula del gup Ferraro, l’udienza si è svolta a porte aperte. Lui, Falchetto, è entrato in aula accompagnato dal suo avvocato Davide Adami e dagli agenti della polizia penitenziaria e per tutta la durata dell’udienza ha continuato a ciondolare con la testa. In alto e in basso, come una sorta di moto perpetuo.

Dietro di lui, i familiari più stretti di Alessandra. A cominciare da chi ha subito la perdita più grave, i due giovanissimi figli della donna: Alberto, di 19 anni, e Massimo, di 18, affiancati dal loro avvocato Federica Panizzo. E poi Sara Gini e Marisa Mazzi, le presidenti rispettivamente di Telefono Rosa e Isolina, due associazioni che da sempre si battono a sostegno delle donne vittime di violenza e che si sono costituite parte civile.

L’udienza si è incentrata tutta sul tema dell’aggravante dei «futili motivi», contestata dal pubblico ministero Valeria Ardito, titolare dell’inchiesta, che aveva chiesto per l’imputato una condanna a trent’anni di carcere, e sostenuta a gran voce anche dalle parti civili.

L’ACCUSA. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, quella sera, Falchetto sarebbe andato a casa di Alessandra per chiederle di restituirgli 5mila euro, che lui le aveva prestato tempo prima. I toni della conversazione si sono presto alzati, finché Falchetto non è passato all’utilizzo della violenza, colpendola prima alla testa con un vaso in cemento e poi, dopo qualche calcio e spintone, sferrando ben sette coltellate, che l’hanno raggiunta dritta al cuore. Pugnalate inflitte con un coltello da cucina, che Falchetto avrebbe recuperato dalle posate della cucina.

Per questo la stessa procura ha escluso l’aggravante della premeditazione, ritenendo però che l’omicidio fosse stato effettuato «per futili motivi».

LA DIFESA. Che cosa può aver spinto Falchetto ad aggredire quella donna, che in passato aveva amato e, forse, amava ancora? Il cinquantaquattrenne, sottoposto a perizia psichiatrica, è stato ritenuto capace di intendere e di volere. Ma il suo difensore, durante l’arringa e ieri in aula, ha voluto ripercorrere la sua storia, spiegando che l’uomo già prima dell’omicidio era affetto da un disturbo psichico conclamato. Da anni, infatti, Falchetto era in cura da uno psichiatra ed era già stato ricoverato più volte in psichiatria.

In aula, per l’imputato, c’era il fratello che, dal giorno dell’arresto, è andato ogni settimana a trovarlo in carcere: «L’unica cosa che vi chiedo è di non dipingere Jean Luc come un assassino, perché non è così».

LA DECISIONE. È stata, forse, proprio l’analisi della difesa a convincere il giudice dal fatto che Falchetto non abbia agito «per futili motivi», anche se le motivazioni si conosceranno solo tra 90 giorni: l’ex barista di origini svizzere è stato condannato a quindici anni e quattro mesi di reclusione in abbreviato (con uno sconto, quindi, di un terzo della pena) e al risarcimento dei due figli per 300mila euro ciascuno, della madre di Alessandra per 220mila euro e delle due associazioni per 10mila euro ciascuna.

La decisione ha lasciato però con l’amaro in bocca le rappresentanti di Telefono Rosa e di Isolina. «Non riteniamo che questa condanna sia adeguata alla gravità del reato», commenta Gini, la presidente di Telefono Rosa. «Siamo evidentemente deluse. Questa donna meritava più giustizia. Ora ci confronteremo con il nostro legale per valutare se impugnare la sentenza».

Anche Marisa Mazzi di Isolina si dice «amareggiata di vedere che la vita di una donna vale così poco», ricordando che «i due figli di Alessandra sono stati privati in modo così tragico della madre, e non perché è morta in un incidente stradale, bensì perché è stata uccisa». La presidente sottolinea però anche un aspetto positivo. «Il fatto che siamo state ammesse ancora una volta come parti civili dimostra che ormai è consolidato il fatto che rappresentiamo la società civile», spiega Mazzi. «Fa parte di questo processo la presa di coscienza della società che questo delitto non è un fatto privato, ma riguarda tutti noi».

Manuela Trevisani

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