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«Ho smesso di bere grazie ai miei

Il problema dell’alcol risolto da Federica di quarant’anni grazie ai suoi genitori, fratelli e Acat
Il problema dell’alcol risolto da Federica di quarant’anni grazie ai suoi genitori, fratelli e Acat
Il problema dell’alcol risolto da Federica di quarant’anni grazie ai suoi genitori, fratelli e Acat
Il problema dell’alcol risolto da Federica di quarant’anni grazie ai suoi genitori, fratelli e Acat

Sono 600 i giorni di astinenza di Federica (nome di fantasia ndr), una quarantenne residente nel Baldo Garda che, dopo anni di dipendenza, anche inconscia, dal vino, ha deciso di dire basta. Grazie al cammino intrapreso coll’Acat Baldo Garda, presieduto da Elena Tommasi, si è infatti affrancata dalla bottiglia. La sua esperienza è stata ricordata anche nell’ultimo «Interclub» tenutosi a Costermano del Garda a chiusura del 2018. «L’Acat è la mia seconda famiglia», esordisce commossa Federica, legatissima alla «prima», che è stata l’altro suo fondamentale supporto. «È il posto dove nessuno giudica, dove se si sbaglia, ti aiutano ad alzarti: quando si sta male si cerca solo questo, non parole che fanno solo soffrire. Sono stati anni durissimi», racconta. IL DISASTRO. «Un disastro. Ma poi, grazie al percorso dell’Acat, ho ritrovato me stessa, a tornare, dopo la separazione da mio marito, quella che ero: la donna indipendente, libera ed amante dei viaggi che sono sempre stata». E precisa: «Ho anche ricominciato a lavorare come facevo prima di dedicarmi alle sole attività domestiche dove spesso bere è un rifugio per non pensare. Del resto l’alcol mi dava la leggerezza mentale che mi permetteva di sorvolare e superare, momentaneamente», precisa, «l’andare a rotoli del rapporto col mio grande amore che percepivo come il fallimento della mia vita. Mentre ci sono tante cose intorno che brillano per valore e bellezza». Osserva che, secondo la sua esperienza, ci si lega all’alcol senza rendersene conto. «E più gli altri te lo dicono più questa verità si rifiuta». LA RINASCITA. Ha contribuito molto a tale sua «rinascita» l’occupazione: «Dopo essermi affrancata, una delle cose più importanti è stato trovare un impiego». Eppure regge ritmi incessanti. «Ho fatto una fatica immane, affrontato centinaia di colloqui, sempre con risultati negativi, girando come una trottola per 2 anni. Finché l’ultimo è stato col mio attuale titolare. Gli ho chiesto di mettermi alla prova perché ho energia e lavorare mi piace. Ciò l’ha convinto». Guardando i suoi chiari occhi limpidi pare impossibile sia stata tanto a lungo nel buio. IN SECONDO PIANO. «Il mio problema con l’alcol è nato, credo, per il concatenarsi di una serie di situazioni in un ristretto periodo. Tra cui il fatto che mio marito fosse sempre all’estero per lavoro, un valore per lui assoluto, che mi poneva sempre in secondo piano». Quindi sorride: «Sono invece sempre stata al primo posto per mia madre, mio padre, i miei fratelli che mi hanno salvato la vita. Per lui sarei finita sotto un ponte. Per me il «ponte» verso la mia nuova vita sono stati loro. Li ringrazio molto per ciò che hanno fatto. Sono immensamente fortunata ad averli. La mia famiglia è il mio ricovero, il mio punto di riferimento nonostante viva sola, in un altro paese». PIÙ NATURA MENO ALCOL. Ma che significa essere alcolisti? «Questa parola non mi piace», precisa, «anche perché noto che, nella quotidianità, è oggi un’abitudine sempre più diffusa, specialmente tra i giovani, trovarsi per aperitivi e «apericena» vari, quando sarebbe molto più divertente fare una passeggiata nella natura che apre orizzonti certamente più ampi del piatto bancone di un bar. Anche se», allarga le braccia, «io bevevo a casa. Dove ho finito per esagerare e ritrovarmi ubriaca, eccesso che non serve raggiungere per farsi del male col vino che», ritiene,«fa male in qualsiasi dose». Poi alza gli occhi al cielo: «E poi l’alcol è un pericolo: a me ha dato anche l’incoscienza di mettermi al volante con un tasso alcolemico superiore al consentito, il ché basta, anche con superamenti lievi, ad abbassare il livello di attenzione, una tra le prime cause di incidenti». Dice di aver commesso tanti, troppi errori. Per 2 anni. «LA MIA FAMGLIA». «Finché ho incontrato l’Acat Baldo Garda, gruppo di una decina di persone con cui condivido ogni settimana la mia nuova libertà, una sera che non vedo l’ora arrivi di nuovo per sapere come stanno i miei «fratelli» e le mie «sorelle». Come previsto, infatti», evidenzia, «questo è proprio un percorso familiare che può durare tutta la vita, come eterno è l’amore che ci lega ai nostri cari». Durante la serata in cui si vedono condividono quant’accaduto in precedenza. «Cominciamo leggendo il diario che, a turno, uno di noi porta a casa per annotare emozioni da condividere al nuovo incontro». I CORSI. Chi intraprende questo percorso segue anche i corsi della scuola alcologica tenuta nel reparto di Gastroenterologia dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, ogni martedì e giovedì dalle 20,30 alle 22,30 circa. Federica ama una frase del professor Vladimir Hudolin, fondatore dell’omonimo metodo dei «club delle famiglie»: «Nessuno viene al club per il suo bere, ma per il suo comportamento e la complessità della sofferenza che accompagna il suo bere. Consiglio il libro ’La magnolia è fiorita’ (di Laura Musso, data di pubblicazione 2006, Edizioni Acat)». •

Barbara Bertasi

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