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Diciotto anni di insulina
«La normalità? Si paga»

L’ago per misurare il livello di glicemia nel sangueSabrina con la mamma Silvia Sartori
L’ago per misurare il livello di glicemia nel sangueSabrina con la mamma Silvia Sartori
L’ago per misurare il livello di glicemia nel sangueSabrina con la mamma Silvia Sartori
L’ago per misurare il livello di glicemia nel sangueSabrina con la mamma Silvia Sartori

«Sabrina giocava al parco sullo scivolo. Quando vedevo che cambiava colore in viso mi avvicinavo, e senza che gli altri bambini se ne accorgessero, le iniettavo l’insulina, magari sui piedini. Doveva fare la stessa vita dei suoi coetanei, quella malattia non poteva impedirglielo». Ora Sabrina ha 18 anni, e lo stesso sorriso, la stessa energia e voglia di vivere degli altri adolescenti. Come volevano i suoi genitori per i quali, invece, la vita è stata sconvolta una notte del 2000, ad Albisano, dove abitano tuttora.

Silvia Sartori, la mamma, ha dovuto lasciare il lavoro per seguire la figlia, portarla nelle scuole che erano in grado di seguirla, ed essere sempre presente fuori dal cancello, mentre la bimba era in aula. Che se andava in ipoglicemia, lei doveva subito intervenire. Doveva essere sempre pronta, giorno e notte, con le iniezioni, con una coca cola o una fetta biscottata da metterle in bocca. Doveva (e deve) esserci per le visite e per tutto l’iter burocratico di carte e fax («ma chi lo usa ancora il fax?», si chiede) che il Sistema sanitario veneto pretende per la prenotazione e la disdetta degli appuntamenti. E poi c’erano (e ci sono) sempre soldi da sborsare: 4.300 euro solo negli ultimi sei mesi, per quel sensore sottocutaneo che il Sistema sanitario non passa e che tiene sotto controllo ogni secondo il livello di glicemia nel sangue. «Una coccinella, così la chiamiamo, che ha cambiato l’esistenza di mia figlia, abbassandole i glicati, allungandole la vita», sottolinea. E aggiunge: «Io e mio marito non abbiamo mutui o affitti da pagare. Stringendo la cinghia siamo riusciti a garantire una vita dignitosa a Sabrina. Ma è vergognoso che ad altre famiglie questa possibilità sia negata», spiega, ribadendo quell’appello che pochi giorni fa, sulle pagine de L’Arena, aveva fatto un altro diabetico, Oscar Beretta di Cavaion.

LA NOTTE IN RIANIMAZIONE. Sabrina aveva sette mesi. «Sarà stato l’istinto materno», ricorda Silvia, «ma vedevo che aveva qualcosa di strano. La portai in pediatria a Bussolengo, la trasferirono subito in Rianimazione a Borgo Roma. Andò in coma, dissero che se fosse passata qualche altra ora, sarebbe morta».

I valori della glicemia erano molto alti, per fortuna Sabrina non riportò alcuna lesione. «Mi diedero un consiglio che da quel momento seguii sempre: è una bambina come gli altri, mi dissero. E così la trattammo, anche per non pesare sul fratello più grande».

Così Sabrina andava al parco giochi e sugli scivoli, all’asilo di Torri «dove entravo dal retro durante l’orario di lezione per misurarle la glicemia e darle una mela, senza che gli altri bimbi mi vedessero» e alla scuola elementare di Garda, «dove avevo garantito alle insegnanti di essere sempre nelle vicinanze».

Il centro pediatrico di Borgo Roma passava tutto il materiale necessario, dagli aghi alle striscette che servono per analizzare il sangue, all’insulina. «Ma negli anni ho visto un cambiamento», spiega Silvia, «se prima ero io a indicare i dispositivi di cui avevo di volta in volta bisogno, da qualche anno è la farmacia che, sulla base del quadro clinico di mia figlia, mi fornisce una quantità predefinita di materiale. Un sistema che però, a mio avviso, provoca molti sprechi».

A Sabrina e alla sua famiglia la vita è cambiata con l’acquisto, a giugno, del sensore, un la coccinella che monitora il livello della glicemia. «Il Sistema sanitario regionale non lo passa», spiega Silvia, «abbiamo dovuto acquistarlo: 2.100 euro il dispositivo, ai quali vanno aggiunti 1.200 euro ogni 4 mesi per gli aghi da inserire nel braccio e 530 ogni tre mesi per il trasmettitore. Nei primi due mesi i glicati si sono abbassati, Sabrina fa molte meno iniezioni e può monitorare la glicemia attraverso il telefonino. Penso se l’avessimo avuto quando lei era piccina: la sua e la nostra vita sarebbe stata più semplice». Certo, questo sensore non elimina tutti i disagi. «Ci sono regole, imposte dalla Regione, senza senso», spiega, e racconta delle visite necessarie a Sabrina per avere la patente, «quella neurologica, quella oculistica e la cardiologica. Ci hanno detto che possono essere fatte solo in libera professione. Lo trovo vergognoso», sottolinea Silvia: «così non viene limitata la vita, ma la stessa sopravvivenza».

Francesca Lorandi

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