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Vigneti tagliati
a Colombaretta:
colpa del catasto

Lavori per l’invaso a Colombaretta, progettato a difesa dal rischio esondazioni
Lavori per l’invaso a Colombaretta, progettato a difesa dal rischio esondazioni
Lavori per l’invaso a Colombaretta, progettato a difesa dal rischio esondazioni
Lavori per l’invaso a Colombaretta, progettato a difesa dal rischio esondazioni

Tutta colpa del catasto... o quasi. Malumori e levate di scudi sul bacino Colombaretta a Montecchia di Crosara si spiegherebbero con alcune mancate corrispondenze tra dati cartacei e situazione reale: per questa ragione l’ex Genio civile sarebbe stato costretto a perimetrazioni multiple dell’area del bacino che è anche «lievitato» in termini di capacità di invaso.

Lo spiega Umberto Anti, direttore della Sezione di Verona del Bacino idrografico Adige-Po: «La presa di possesso delle aree, che non vuol dire accettazione, è stata firmata dai proprietari ad agosto 2015 e da allora gli stessi sanno che avremo proceduto. Da allora la Regione paga gli interessi dell’occupazione. Il piano particellare definito all’epoca, con l’elaborazione del progetto esecutivo è stato rettificato dopo aver riscontrato alcuni errori su circa un terzo del perimetro: per legge», spiega Anti, «è ammesso espropriare di meno ma non di più. Ecco perché ad aprile siamo ritornati alla situazione di agosto ritoccando solo dove potevamo restituire qualcosa».

Insomma, la levata di scudi contro la rimozione dei vigneti non avrebbe ragion d’essere, «perché se è vero che nessuno si è adeguato volentieri», fa notare il direttore dell’ex Genio civile, «è vero che solo un agricoltore si è opposto. Il 90 per cento dei proprietari ha provveduto con mezzi propri e solo qualcuno ha chiesto che lo facesse l’impresa».

A monte c’è dunque il progetto esecutivo che aumenta il bacino di 173.000 metri cubi e che, secondo il ricorso per motivi aggiunti presentato da una quarantina di proprietari al Tribunale superiore delle acque, stravolgerebbe il progetto definitivo: «Non si stravolge nulla, gli argini sono sempre quelli. È stato verificato che il territorio era stato rilevato in maniera imperfetta e proprio da questo è originato l’aumento della capacità della sola cassa di monte. È un vantaggio per quella di valle che, così, vede ridurre la sua probabilità di utilizzo».

I PROPRIETARI, però, puntano il dito anche contro la nuova apertura di 12 metri quadrati prevista sul fondo dell’Alpone: secondo loro si tratterebbe di uno stratagemma per utilizzare il bacino molto più spesso di quanto, invece, accadrebbe al raggiungimento del livello previsto per l’attivazione automatica della cassa.

Non sarebbe così: «C’è un equivoco», assicura Anti, «perché quell’apertura a valle del ponte è inserita in un intervento migliorativo proposto dalla ditta. A fronte di un allargamento del 50 per cento dell’Alpone per rallentare la corrente delle acque e favorire il deposito del materiale solido, serve un accesso per le manutenzioni e la rimozione del materiale: a questo serve quell’apertura che nessuno ha intenzione di utilizzare in modo diverso». E dunque il bacino comincerà a invasare automaticamente solo quando l’Alpone viaggerà a 55 metri cubi al secondo.

ANCHE SUL «CONTROARGINE» realizzato, dove è prevista l’apertura per lo svuotamento del bacino, secondo Anti c’è stato un fraintendimento: «La sezione dell’Alpone si riduce, è vero, ma solo del 16 per cento e quel muro interno è stato fatto perché dietro la barriera verrà costruito il manufatto di ingresso. Questa trincea, che sarà ricoperta di teli ad elevata robustezza per scongiurare fenomeni di erosione, ha permesso di demolire l’argine e di mettere in sicurezza l’area per i sei mesi necessari ai lavori. In questo modo», chiarisce il direttore dell’ex Genio civile, «si protegge il bacino lasciando una sezione che consente il transito di una piena trentennale dell’Alpone».

Paola Dalli Cani

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