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Tecnico programmatore
diventa solista alla Scala

Romano dal Zovo mentre interpreta Ramfis in AidaRomano Dal Zovo, 32 anni, cantante lirico: si esibisce in Italia e all’estero FOTO AMATO
Romano dal Zovo mentre interpreta Ramfis in AidaRomano Dal Zovo, 32 anni, cantante lirico: si esibisce in Italia e all’estero FOTO AMATO
Romano dal Zovo mentre interpreta Ramfis in AidaRomano Dal Zovo, 32 anni, cantante lirico: si esibisce in Italia e all’estero FOTO AMATO
Romano dal Zovo mentre interpreta Ramfis in AidaRomano Dal Zovo, 32 anni, cantante lirico: si esibisce in Italia e all’estero FOTO AMATO

Dall’azienda metalmeccanica in cui lavorava come tecnico programmatore al palco della Scala.

Se c’è una qualità che a Romano dal Zovo, 32 anni, di Vestenanova, non manca, è la capacità di mettersi in gioco, lasciandosi sorprendere dalla vita e da se stesso.

Perito meccanico, assunto con un contratto a tempo indeterminato in una ditta veronese, a 27 anni ha lasciato tutto per fare il corista nelle opere. Poi un altro «salto», nel 2011, anno del suo debutto da solista. Ora è appena tornato da Milano dove ha interpretato Larkens nell’opera La fanciulla del West.

«Era la prima volta che cantavo alla Scala, è stato bellissimo», racconta entusiasta.

Il paradosso è che mai avrebbe pensato di fare il cantante lirico anche se il canto è sempre stato «di casa».

«Tutti nella mia famiglia abbiamo una bella voce e cantiamo, dai nonni, ai genitori ai fratelli», racconta. «Chi in chiesa, chi nei cori e poi durante i pranzi natalizi e mentre si viaggia. Ma lo abbiamo sempre fatto per divertirci, nessuno ha mai pensato di impegnarsi a livello professionale. E nessuno, poi, è appassionato di lirica, siamo “specializzati” soprattutto in canti della tradizione alpina di Bepi De Marzi».

Finché alcuni amici che cantavano in un coro d’opera l’hanno spinto a studiare lirica. «Ho seguito il loro consiglio», racconta Dal Zovo. «L’ho fatto per mio piacere personale, per approfondire qualcosa che amavo. Avevo già 26 anni, certo non pensavo a una carriera come cantante».

Ma si sbagliava: talento e passione gli hanno fatto bruciare le tappe.

Dopo un anno ha fatto la prima audizione. «Per il coro dell’Arena», racconta. «Sono stato fortunato, mi hanno preso subito e questo mi ha dato fiducia, ma era impossibile lavorare in azienda e anche in Arena. Così mi sono licenziato», racconta sereno. «Sentivo che era un’occasione da non perdere». Da allora non si è più fermato. Ha cantato a Parma, Montecarlo, Salerno Toulouse, Como, Cremona, Pavia, Piacenza, facendo il solista in Tosca, Otello, La Bohème, Il flauto magico, Aida e Don Giovanni. «Chi fa questo mestiere deve essere pronto a spostarsi. Si canta in Italia ma anche all’estero e ci si ferma nello stesso teatro in media da uno a quattro mesi». Continuare a viaggiare e a fare audizioni, però non gli pesa. «È un lavoro ad ampio respiro», racconta. «E poi se si fa qualcosa che piace, la fatica non si sente. Amo ogni ruolo che interpreto e ho la possibilità di lavorare vicino a cantanti del calibro di Scandiuzzi, Aronica, Nucci, della Devia. È emozionante».

Cantare lo rende felice e ora che è solista lo è ancora di più. «La responsabilità è cambiata, ma anche le soddisfazioni sono aumentate», dice.

E ricorda la sua prima volta da solista: «Cantavo nel coro di Roméo et Juliette di Charles Gounod e il maestro mi ha chiesto se me la sentivo di interpretare Gregorio. Ho accettato. Non è stato facile, ero emozionatissimo. Da allora ho alternato ruoli da solista e da corista finché l’anno scorso ho smesso con i cori».

Ha mai «steccato»? «In scena mai», risponde divertito. «E poi non sono un tenore: lui ha la voce più a rischio. Il basso corre meno pericoli e la sua voce ha anche la caratteristica di maturare più in là negli anni».

Un ruolo che amerebbe interpretare? «Filippo II nel Don Carlo di Verdi», risponde subito. «Verdi è il mio “terreno”, quello su cui mi sento più a mio agio. Il Don Carlo, la Messa da Requiem e Simon Boccanegra li ascolterei 24 ore su 24».

Un ruolo che invece teme è quello di Zaccaria nel Nabucco. «È il più difficile per il basso. Canta dall’inizio alla fine. Servono grande estensione vocale e resistenza», spiega.

La lirica ha anche «invaso» la sua vita privata. Ha sposato la soprano veronese Elisabetta Dambruoso, conosciuta in un coro lirico. Da lei ha avuto Lorenzo, 18 mesi. Niente nomi «rubati» all’opera, però, per il piccolo. «Meglio di no, visto che non sappiamo se l’opera gli piacerà», dice. Anche se buon sangue non mente. «Non parla, ma intona già il vocalizzo e quando viene a vedere le prove segue tutto, non stacca mai gli occhi dal palco», racconta.

Sua moglie e il suo maestro Vincenzo Rose sono i suoi grandi sostenitori. «Lui è il mio mentore, mi ha insegnato tutto quello che so», spiega. «Vengono sempre quando mi esibisco, a meno che mia moglie non sia all’estero per lavoro (soprattutto in Oman e a Montecarlo, ndr). Molto importante è anche il mio preparatore musicale Simone Savina, grandissimo maestro verdiano».

E aggiunge: «Per fare questo lavoro bisogna essere spugne, assorbire dai cantanti più bravi, riuscendo però a mettere del proprio. L’aspetto più bello è emozionare, dare qualcosa di vero al pubblico. Capita che mi scendano le lacrime quando ascolto un cantante e a volte rischio che mi succeda anche mentre canto».

Invidie da palcoscenico? «Ci sono, ma non ne soffro. Mi piace ascoltare anche altri bassi e se mi emozionano mi complimento con loro. Aver iniziato tardi mi aiuta a ridimensionarmi. Do ad ogni cosa il giusto peso».

Sciarpe, brodini, ricette magiche per la voce? «No, sto solo attento ai colpi d’aria, a non uscire dalla piscina con la testa bagnata o a non passare da locali troppo freddi ad ambienti troppo caldi. Sono poche rinunce e tutte ripagate dall’emozione che mi dà cantare».

Chiara Tajoli

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