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La testimonianza di un medico di base

«Sette piccole tombe: sospetto Pfas»

La dottoressa Elisa Dalla Benetta
La dottoressa Elisa Dalla Benetta
La dottoressa Elisa Dalla Benetta
La dottoressa Elisa Dalla Benetta

«Le ricerche, purtroppo, cominciano a confermare quello che chi fa medicina sul territorio verifica ogni giorno». Questo è il commento di Elisa Dalla Benetta, medico di base di Zimella, alle notizie che ha diffuso qualche giorno fa il professor Carlo Foresta dell’Università di Padova. Secondo le ricerche di Foresta, i Pfas sono interferenti ormonali e, abbattendo la produzione di testosterone, possono causare infertilità, problemi al sistema riproduttivo e tumori. La dottoressa di Zimella queste situazioni le sta testando da tempo sul campo. E, stando a quanto racconta, per quanto riguarda lo stato di salute della popolazione esposta alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche, il quadro è più fosco di quello che si temeva. Bambini che muoiono a causa di aborti tardivi spontanei, ragazzi che vivono situazioni di confusione in merito alla loro identità sessuale, donne che affrontano l’idea della gravidanza con il timore di trasmettere ai propri figli problemi e, ancora, tassi abnormi di alcune patologie e disfunzioni. È una testimonianza che fa venire i brividi quella della dottoressa, che vive e opera in un paese posto al centro dell’area maggiormente esposta alla contaminazione da Pfas e che, in forza della sua esperienza, si è fatta delle idee sugli effetti dell’ inquinamento che, almeno in parte, stanno trovando conferme dai lavori dei ricercatori. «Nel cimitero di Zimella (Comune con circa 4.900 abitanti che si trova sopra alla falda contaminata ed è servito da un acquedotto alimentato con acqua che proviene dallo stesso giacimento idrico sotterraneo, e è attualmente a Pfas zero grazie a trattamenti particolari, ndr) ci sono le tombe di sette bambini maschi morti per aborto tardivo spontaneo negli ultimi anni, mentre fra il 1960 ed il 2000 i casi analoghi erano stati in tutto due, e io seguo famiglie in cui tutti i figli maschi non riuscivano a capire quale fosse il loro orientamento sessuale e poi hanno scoperto che il loro tasso di testosterone era basso o che hanno conformazioni particolari dell’apparato genitale», dice la dottoressa. Il medico, in questo modo, richiama le conclusioni a cui è giunto Foresta, che proprio in merito alle dimensioni degli organi riproduttivi maschili nei giovani residenti nella zona rossa ha riscontrato dimensioni ridotte rispetto a quelle medie. Ma non è tutto, perché Dalla Benetta spiega che, da quanto ha potuto riscontrare, i problemi si manifestano in maniera grave dopo dieci anni di esposizione legata all’uso dell’ acqua – cosa che, per quanto riguarda la tiroide, ha verificato anche su se stessa, oltre che su vari pazienti – e che continua a registrare livelli alti di colesterolo, obesità, disfunzioni della tiroide, tumori a testicoli e reni, ipertensioni in gravidanza e Alzheimer. D’altronde, secondo gli ultimi dati ufficiali, 6 su 10 delle persone che hanno aderito allo screening avviato dalla Regione per capire che cosa succede nelle terre dei Pfas devono affrontare controlli di secondo livello, andando in ambulatori specifici con medici internisti e cardiologi. Situazioni che non erano state previste in numeri così elevati e sono destinate a peggiorare. E non solo perché più si va avanti con l’età degli esaminati e più sono evidenti i problemi, ma anche perché ancora devono iniziare i controlli di chi ha meno di 15 anni. «E poi i dati sulla non adesione allo screening continuano a non convincermi, perché c’è molta gente che mi dice che non riceve l’invito», afferma Dalla Benetta. La dottoressa racconta anche che molte donne le chiedono che cosa può succedere ai loro figli se dovessero affrontare una gravidanza. «Considerati anche i dati relativi alle malattie gestazionali, è evidente che sarebbe necessario avviare un percorso specifico per chi si prepara a far nascere dei bambini», afferma. Al di là delle modalità con cui si svolge, comunque, sta di fatto che lo screening ha evidenziato che ci può essere un serio problema per quanto riguarda chi beve o irriga l’orto con i pozzi privati, visto che costoro hanno valori doppi di Pfas nel sangue rispetto a chi usa l’acquedotto. Eppure non sono stati previsti controlli specifici e nemmeno sono state adottate misure volte a far emergere i casi, che probabilmente sono la maggioranza, di impianti di e- mungimento non denunciati. «Visto che siamo di fronte a un problema di natura sanitaria sarebbe il caso di intervenire», commenta la dottoressa, secondo la quale, d’altro canto, «i dati che vengono registrati dai medici di base, che dal 2010 sono tutti informatizzati, se elaborati permetterebbero di avere molte informazioni importanti sullo stato di salute della popolazione esposta». •

Luca Fiorin

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