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Rapina in banca fermato a Ravenna anche il complice

I carabinieri della stazione di Soave con i 28.000 euro del bottino recuperato FOTOSERVIZIODIENNE
I carabinieri della stazione di Soave con i 28.000 euro del bottino recuperato FOTOSERVIZIODIENNE
I carabinieri della stazione di Soave con i 28.000 euro del bottino recuperato FOTOSERVIZIODIENNE
I carabinieri della stazione di Soave con i 28.000 euro del bottino recuperato FOTOSERVIZIODIENNE

Rapinatori «gentiluomini», sembra un controsenso, ma loro «uomini d’onore sono». In Sicilia le «femmine incinte» vanno rispettate. E così hanno fatto. L’altro pomeriggio quando sono entrati nella Cassa di Risparmio del Veneto, a Colognola ai Colli, hanno legato dietro alla schiena i polsi di tutti i cassieri mentre hanno lasciato lei, con il pancione ben evidente, in una posizione più comoda, con le braccia bloccate dalle fascette sopra al ventre. Quasi a tener tranquillo il piccolo in grembo. Poi, senza usare violenza, senza pistole, sventolando in aria un taglierino giusto per tenere in scacco i dipendenti, si sono fatti consegnare tutto il denaro custodito agli sportelli: 28mila euro in banconote da 50, hanno infilato il bottino in un borsone e sono scappati. Fuori, in strada, senza farsi prendere dal panico, camminando tranquilli proprio per non insospettire nessuno (erano le 16.15, negozi aperti, via vai di gente tra la farmacia, il bar e l’estetista attigui alle banca) si sono diretti verso la macchina parcheggiata in una traversa di via Strà convinti che, da lì a poco, sarebbero fuggiti carichi di denaro, soddisfatti per l’ennesimo colpo andato a buon fine. Invece, all’esterno della filiale, cinque minuti dopo aver compiuto la rapina, i due banditi - siciliani professionisti del crimine con una fedina penale lunga così - hanno trovato due carabinieri di Soave che, in zona per ordinari controlli, allertati dalla caserma di San Bonifacio a cui era arrivata la richiesta di intervento, in pochissimo tempo sono piombati alle spalle dei rapinatori. I due, accortisi di essere inseguiti, si sono messi a correre. A quel punto un militare è riuscito a raggiungere e a buttare a terra un bandito - quello con il borsone contenente il denaro - lo ha ammanettato e consegnato al collega dedicandosi poi all’inseguimento del complice che intanto aveva ottenuto un buon distacco, imboccando una traversa di via Strà. Proprio per tentare di fermarne la fuga, il giovane carabiniere ha sparato dei colpi in aria, assicurandosi di non mettere a repentaglio l’incolumità di nessuno. Niente, il rapinatore non si è fermato, è riuscito lo stesso a salire sull’auto, un’Alfa 159 grigia, ha acceso il motore e ingranato la marcia: il militare non ha desistito, ha preso la mira e ha premuto di nuovo il grilletto contro le ruote, ne ha bucate due, sperando così di impedire alla macchina di partire. Pur con le gomme a terra, l’uomo è scappato. A questo punto, è scattata la caccia al rapinatore: unico elemento, rivelatosi preziosissimo, a disposizione delle forze dell’ordine, la targa dell’Alfa (finita negli archivi dell’Arma per precedenti controlli), insieme alla possibile identità del fuggitivo ricavata dai dati anagrafici del complice appena arrestato. Quello in manette, infatti, è risultato essere un siciliano di 50 anni habituè delle rapine messe a segno, di solito, con un compagno, lo stesso scappato ai carabinieri a Colognola. Via via, nel corso delle ore, si aggiungono elementi utili a identificare il fuggitivo, come la notizia che ha frequentazioni e appoggi in Emilia Romagna, per la precisione a Ravenna. Da Verona parte il «ponte» con i carabinieri romagnoli, durato fino a notte quando, ad un indirizzo individuato grazie al controllo incrociato di alcuni «amici» della banda, viene trovata l’Alfa 159. Ha ancora una ruota a terra e un’altra sostituita dal ruotino ridotto a brandelli, consumato fino al cerchione. È l’una di notte e i militari sono pronti ad entrare nell’abitazione quando si accorgono che c’è un uomo che cammina poco lontano dalla macchina: orario insolito per fare due passi, per cui lo fermano e lo perquisiscono. Ha con sé una borsa, dentro c’è il cappellino da baseball usato per la rapina nel Veronese, i guanti, il taglierino e trenta blister con le monete: le banconote di carta le aveva tenute il complice, lui aveva qualche centinaia di euro in ferro. Ammanettato pure lui, è finito dietro alle sbarre con un’accusa pesantissima: entrambi sono in carcere, uno a Montorio e l’altro a Ravenna, in attesa di convalida degli arresti che i gip decideranno domani. «È stato un successo reso possibile dallo scambio di informazioni tra compagnie e dalla rete attiva sul territorio locale e nazionale», ha spiegato in conferenza stampa il comandante della compagnia di San Bonifacio Daniele Bochicchio alla presenza dei due colleghi della stazione di Soave, i veri protagonisti dell’operazione insieme al nucleo operativo del comando provinciale, «questi due ragazzi hanno avuto il sangue freddo necessario per intervenire senza mettere a rischio la sicurezza di nessuno riuscendo a fermare uno dei rapinatori e a mettere in serie difficoltà il secondo. È un esempio di come sia fondamentale la sinergia tra tutte le forze in campo per combattere il crimine e affidare alla giustizia chi delinque, come in questo caso, in modo sistematico». I due siciliani professionisti delle rapine l’hanno sempre fatta franca fino all’altro giorno quando a Colognola hanno trovato sulla loro strada due ragazzi di 26 anni, in divisa, che li hanno inchiodati. Potrebbero essere i loro figli. Figli «diversi», per fortuna. •

Camilla Ferro

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