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Pochi infermieri e medici, operazioni in calo

Un intervento in sala operatoria: la carenza di medici, infermieri e operatori è un problema
Un intervento in sala operatoria: la carenza di medici, infermieri e operatori è un problema
Un intervento in sala operatoria: la carenza di medici, infermieri e operatori è un problema
Un intervento in sala operatoria: la carenza di medici, infermieri e operatori è un problema

Meno medici, meno infermieri, meno interventi e cure negli ospedali. E la sanità pubblica lancia l’allarme. «Stiamo rischiando di perdere qualità, di vedere i pazienti migrare», denuncia Pierangelo Rovere, segretario regionale Cgil medici, sicuro di avere l’ appoggio dei colleghi Anaao e Cimo (gli altri sindacati), che proprio per questi motivi hanno incrociato le braccia in uno sciopero nazionale fra i più partecipati. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: la carenza di anestesisti, in particolare, rallenta le sale operatorie, soprattutto per l’ortopedia. Capita dappertutto nell’Ulss9: a Legnago, San Bonifacio, Bussolengo e Villafranca, che devono pure ritrovare un equilibrio dopo i recenti traslochi. IL CASO ORTOPEDIA Lo dimostrano le schede di dimissione ospedaliera (le Sdo) con i numeri delle prestazioni: nel 2016 una media di 289 interventi di ortopedia e traumatologia al mese, nel 2018 scende a 218: 71 in meno ogni mese; in un anno 850 interventi spariti. «Guardi, in tre ospedali facciamo quello che facevamo da soli a Legnago tre anni fa: 12 sale a settimana», insiste Rovere. Cali meno drastici, ma sempre cali, anche per chirurgia generale e urologia. «A San Bonifacio lavorano tre sale su otto», interviene Sonia Todesco segretaria provinciale Cgil Fp. «Fanno sempre più anestesie locali, a volte chiamano i pazienti e rivedono le liste d’attesa, c’è chi si stanca e va altrove», aggiunge Daniela Prencipe segretaria provinciale della Uil Fp. E poi mancano infermieri e operatori socio sanitari, un po’ tutte le figure professionali, compresi gli amministrativi. «In questo momento nell’Ulss 9 mancano cento infermieri, 70 oss, 50 medici, varie altre figure professionali. Questi sono numeri da paralisi», denunciano le sindacaliste. La carenza di infermieri pesa davvero tanto sulle pediatrie, dove ci si prende cura anche dei più piccoli, di neonati e prematuri. L’APPELLO A COLETTO «Per cambiare rotta c’è una sola soluzione», affermano Prencipe e Todesco, «bisogna che la Conferenza Stato Regioni lavori perché in Finanziaria sparisca il vincolo che impone il taglio costante della spesa al comparto sanitario delle Regioni». A Luca Coletto, già assessore e adesso viceministro alla Sanità, il compito di lottare per il Veneto. «Siamo una Regione adempiente», riprendono le sindacaliste, «eppure dobbiamo raggiungere nel 2020 una spesa per la sanità che sia l’1,4 per cento in meno di quanto era nel 2004. Siamo fuori di 15 - 20 milioni, è impossibile continuare su questa strada». Gli esempi di cosa questo significhi per chi lavora in corsia, e per chi ci si trova da ricoverato, sono parecchi: infermieri che non riescono a fare le ferie; frequenti richiami in servizio; carichi di lavoro sempre più pesanti. «Qui a Legnago c’è voluto quasi un anno per ottenere l’arrivo di un sostituto per una dottoressa in gravidanza», racconta Rovere, «dopo poco più di un mese non ce n’era più bisogno. A un altro medico assunto per la geriatria hanno proposto di fare turni al centro trasfusioni: ha rifiutato il posto». E ancora: «Si fatica in cardiologia a garantire le visite urgenti entro i 10 giorni», aggiungono Prencipe e Todesco. DIFFICILE ASSUMERE «Vero, l’Ulss9 fa concorsi e non trova le figure che cerca», ammettono Prencipe e Todesco, «ma in realtà è perché è costretta a pescare da graduatorie vecchie a causa di una programmazione regionale fallimentare. Non trovano oss perché hanno dovuto usare una graduatoria del 2008, scaduta. Tocca ad Azienda Zero indire i concorsi». Stessa musica per le ostetriche: «Pescano dalla graduatoria di Pavia, per forza poi qualcuno rinuncerà». Insomma, troppi rallentamenti. «E anche questo è un pericolo», concludono i sindacati, «Perché gli ospedali privati invece corrono, crescono, sono veloci a rinnovare attrezzature e macchinari». «Ai pazienti può sembrare indifferente, ma alla fine tutto questo avrà un costo e il peso delle assicurazioni private si fa già sentire, con buona pace delle categorie più fragili», conclude Rovere. •

Francesca Mazzola

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