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Nel Veronese 1.400 profughi Solo 490 con status di rifugiati

Circa 1.400 profughi nel Veronese, statistiche che ne vorrebbero 910 destinati al rientro in patria e 4.000 pratiche da esaminare: sono i dati da tenere sott’occhio per capire l’entità del fenomeno rifugiati. A Verona approda il 14% dei richiedenti asilo che dalla Sicilia partono alla volta del Veneto. Sui tavoli della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che ha sede a Verona, ci sono oggi 4.000 fascicoli con le domande di sei province. Dei 1.400 stranieri rifugiati nel Veronese (per lo più provenienti da Nigeria, Ghana e Gambia), probabilmente solo 490 potranno godere dello status di rifugiato, che equipara al cittadino italiano, mentre per gli altri ci sarà quello di clandestino: lo dice la media provinciale dei dinieghi che si attesta sul 65 per cento. «Abbiamo 4.000 pratiche ma la situazione dovrebbe presto migliorare grazie all’attivazione di una sottocommissione a Vicenza. Ne assorbirà 1.200. Al ritmo di 15 pratiche al giorno è facile capire come mai l’iter per le verifiche sia passato dai tre-quattro mesi ante emergenza ai quasi due anni di oggi. Se lavorassero sei commissioni in sei province», spiega il capo di gabinetto della Prefettura di Verona Alessandro Tortorella, «i tempi si abbatterebbero e le problematiche di presenza protratta sarebbero ordinaria amministrazione».

Fin qui l’oggi, ma su gestione e programmazione degli arrivi l’unico vantaggio è l’ esperienza maturata nell'ultimo quadriennio: «Il 14 per cento degli approdi in Veneto è su Verona: quanti sono lo sappiamo solo qualche ora prima e i pullman possono essere uno a settimana o uno a sei ore. Quando va bene, veniamo informati 12 ore prima e se siamo fortunati lo diciamo al sindaco due-tre ore prima come pura cortesia».

Il nodo più grosso è la sistemazione: spazi per l’accoglienza non ce ne sono. «Lo diciamo da anni che se è vero che non possiamo determinare l’evento, possiamo gestirlo per evitare di subirlo: serve condividere una strategia. Da quattro anni lavoriamo bene con la Caritas di Verona, che ospita 60 persone, e alla Caritas, su input del Papa, abbiamo chiesto di farsi mediatrice verso le parrocchie per veicolare l’invito all’accoglienza. Nel Veronese quattro-cinque parrocchie accolgono complessivamente tredici profughi. È il risultato del lavoro di un anno e ne siamo felici. Condivisione è la parola d’ordine anche coi sindaci ma sono pochissimi quelli che hanno aderito: anche un solo posto in più grazie al dialogo con un sindaco o un parroco è istituzionalmente una cosa positiva e la nostra speranza rimane sempre che ci sia un sindaco in più che condivida con noi, come di recente quello di Albaredo. Non mi stancherò mai di dirlo: i 500 profughi della struttura di Costagrande sono per definizione la nostra patologia. Quanti sarebbero stati i 600 profughi di giugno spalmati su 98 comuni?».

Coi bandi deserti la chiamata è diretta e alle coop spetta il compito di trovare spazi attraverso contratti di locazione compatibili con le indennità pro capite/pro die loro riconosciute. Ma chi controlla se una coop e i suoi operatori, anche rispetto al numero, sono adeguati e se lo è il servizio che eroga? «Ci sono paletti stretti nelle convenzioni, e poi verifiche e ispezioni periodiche sia a livello cartaceo che fisicamente sul posto: ci va la Prefettura ma pure l’Asl e le forze dell’ordine ed è evidente che margini per i furbi non ce ne sono».

Si lamentano ritardi nei corsi di alfabetizzazione: «C'è chi parte prima perché è piu strutturato, chi più tardi, ma non c'è un termine. Prima di tutto vanno date le regole elementari della convivenza».

Il silenzio delle coop? «Abbiamo dato l’indicazione di tenere un profilo basso per una questione di riservatezza e per la serena convivenza, ed è una indicazione da estendere ai richiedenti asilo». E se, come a Brognoligo, i profughi si allontanano? «Escono dal programma ma non perdono il diritto alla protezione finché i loro casi non arrivano in Commissione». P.D.C.

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