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Il teologo Barros: «Il Papa è una voce nel deserto»

Adami e Barros
Adami e Barros
Adami e Barros
Adami e Barros

La chiesa parrocchiale di San Zeno di Colognola, dove negli anni scorsi sono stati ospitati anche i due Nobel per la pace Rigoberta Menchù e Adolfo Perez Esquivel, ha assunto ancora una volta contorni internazionali accogliendo Marcelo Barros, biblista tra i massimi esponenti della Teologia della liberazione; il monaco benedettino brasiliano ha celebrato la messa con il parroco monsignor Luigi Adami e don Marco Campedelli, amico di padre Barros che è priore del monastero dell'Annunciazione del Signore a Goiàs. Da sempre attento nel coniugare spiritualità e impegno per la salvaguardia del Creato, anche nell'omelia tenuta a Colognola, il teologo, commentando il Vangelo dei talenti, ha rilevato che «i talenti non vanno intesi come doni intellettuali ma come strumenti per guarire il mondo: la Terra è malata, bisogna guarirla. Dio ci ha affidato il mondo e dobbiamo avere la responsabilità di noi stessi, degli altri e del Creato. Gesù ci invita a essere attenti, critici, a pensare al mondo attuale. Questa è la buona nuova di oggi». Significativa anche la sua visione della situazione dell' America meridionale da quando è papa Bergoglio: «Con Francesco ci sono stati molti cambiamenti in Sud America e non sempre buoni. Sono caduti governi che erano favorevoli ai poveri, come in Brasile e in Argentina. Nella Chiesa ufficiale non è cambiato niente», ha rimarcato, «perché papa Francesco resta ancora una voce nel deserto. È cambiata, invece, l'organizzazione delle chiese di base (credenti cristiani che si riconoscono nel Vangelo e in una Chiesa più evangelica di quella istituzionale, ndr): prima era debole ma ora si è rafforzata, è più unita. Il pontefice ha scritto una lettera a queste comunità ecclesiali ed è stata un'azione importante. Non possiamo chiedere al Papa di fare di più, sta già facendo molto come, ad esempio, l’istituzione della giornata mondiale dei poveri: è stato un gesto forte, perché non è facile da concepire» E ha ricordato la figura di Helder Camara, arcivescovo di Olinda e Recife scomparso nel 1999, uno dei più noti vescovi latinoamericani con la passione per una Chiesa povera e dei poveri; con lui, Barros ha operato nel campo dell'ecumenismo: «Poco prima di morire, Camara mi ha detto di fare una Chiesa aperta ai poveri e, in tal senso, di non lasciar cadere la profezia (il suo principale insegnamento è che la Chiesa non può esistere per se stessa ma per il mondo, e che la fede è umanità, ndr). Noi pensiamo alla profezia come a qualcosa di eroico e invece è qui, adesso, nella quotidianità». Il teologo ha aggiunto: «La Chiesa anche oggi a volte mantiene la divisione tra liturgico e umano, invece la fede è politica, è una proposta di cambiamento del mondo, non quello dopo la morte ma questo. Ci vuole condivisione, non il mettersi in fila in silenzio». Padre Barros ha elogiato l'apertura e la capacità di dialogo di monsignor Adami, che da decenni attua l'ecumenismo in parrocchia, grazie anche ai rapporti di amicizia con il patriarcato ortodosso di Mosca» • M.R.

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