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Il bacino Colombaretta verso il collaudo finale

Una fase dei lavori per la messa in sicurezza durante le piene dell’Alpone
Una fase dei lavori per la messa in sicurezza durante le piene dell’Alpone
Una fase dei lavori per la messa in sicurezza durante le piene dell’Alpone
Una fase dei lavori per la messa in sicurezza durante le piene dell’Alpone

Colombaretta, primo autunno da bacino: il collaudo dell’invaso di Montecchia di Crosara, concepito per laminare a monte fino a 1 milione e 108.000 metri cubi d’acqua in caso di piena del torrente Alpone, va verso la conclusione e si attende ora il via libera, da parte del Dipartimento nazionale della Protezione civile, all’intervento migliorativo del sistema di scarico con la posa di valvole di non ritorno. La decisione di integrare il sistema di scarico «per ottenere un incremento della capacità di deflusso delle acque» era stata presa dalla giunta regionale a giugno, e dunque ben prima che le eccezionali piogge del 1° settembre scorso allagassero la cassa di valle dell’invaso. Opere migliorative, dunque, e in nessun modo «a compensazione di inesistenti malfunzionamenti del bacino», ribadiscono i funzionari della direzione Difesa del suolo che, di concerto con l’assessore competente Gianpaolo Bottacin, hanno risposto alle tante contestazioni levatesi in conseguenza dell’allagamento dell’invaso. Decisione assunta in tempi non sospetti e sulla quale sono state indirizzate le risorse saltate fuori dopo la ricognizione dei residui di finanziamenti pregressi erogati dal Dipartimento nazionale della Protezione civile al quale è in capo il definitivo via libera. SE DI QUESTO intervento si parlerà non appena saranno svincolati i fondi, al bacino è invece dietro l’angolo «il completamento di alcune lavorazioni, di modesta entità, per le quali si prevede la conclusione entro una decina di giorni». Colombaretta è sostanzialmente pronto da qualche mese «e le operazioni di collaudo, iniziate ai primi di settembre con le prove di carico dei ponti, sono in corso per arrivare in tempi brevi al collaudo finale dell’opera». Non era previsto, ma la cosa non sembrerebbe aver influito sul cronoprogramma che era stato compilato, dover mettere le mani agli argini del bacino per ripristinare gli smottamenti verificatisi il 1° settembre. Le cause? «Condizioni che avrebbero causato disagi di analoga intensità anche prima della realizzazione del bacino», dicono dalla Difesa del suolo ribadendo come «con la costruzione del bacino non si è in alcun modo modificata la preesistente rete idraulica scolante». Non manca l’analisi dell’ accaduto a partire dai tanti punti in cui la Roggia Vienega, che scorre in destra invaso, è tracimata: «Ben 187,2 millimetri di pioggia in 48 ore, come registrato dall’idrometro Arpav di Tregnago», fanno notare i tecnici, cioè un mare d’acqua che, collassata la Roggia Vienega, ha «invaso le campagne limitrofe al bacino, arrivando a interessarlo attraverso l’esistente rete di scolo. L’anomala, non prevedibile condizione che si è verificata, ha determinato il rigurgito delle acque esondate verso il bacino, gli allagamenti della cassa di valle ed il rallentamento dei tempi di svuotamento». Su questo punto, però, da anni i proprietari dei terreni del bacino, attraverso il loro legale, sollevano contestazioni: secondo loro la dimostrazione dell’impossibilità di svuotare il bacino in 48 ore è stata proprio la recente sommersione prolungata. «La difficoltà dello scarico dell’area, a causa delle ridotte pendenze dei terreni, era già presente prima della realizzazione dell’argine di chiusura del bacino», rispondono dalla Regione, «e presente ancora prima della realizzazione del bacino, a causa della scarsissima pendenza del terreno e degli scoli, era anche il cosiddetto “stagno” in corrispondenza dello scarico». Nel caso specifico ad aggravare la situazione è stato «il restringimento dell’alveo dello scolo Campagnola (scorre in destra Roggia Vienega, ndr), attraverso il quale il bacino scarica le acque nell’ Alpone, conseguente allo smottamento delle sponde». •

Paola Dalli Cani

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