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Centri storici malati ma la cura c’è

I relatori al convegno di Confcommercio Verona svoltosi nella sala civica di San Bonifacio
I relatori al convegno di Confcommercio Verona svoltosi nella sala civica di San Bonifacio
I relatori al convegno di Confcommercio Verona svoltosi nella sala civica di San Bonifacio
I relatori al convegno di Confcommercio Verona svoltosi nella sala civica di San Bonifacio

Le famiglie fanno le loro spese lontano dai centri storici dei paesi. Vanno nelle periferie, si concentrano nei centri commerciali, quelli che racchiudono in migliaia di metri quadri negozi di tutti i tipi. Poli di attrazione che hanno impoverito i Comuni, trasformati in dormitori, dove tanti locali hanno appeso il cartello «affittasi», dove nelle vie principali, pedonali o meno, ormai non passeggia più nessuno. E il problema è sentito dalle amministrazioni, perché là dove non ci sono più negozi di vicinato si perdono non solo servizi ma anche una rete sociale che tiene uniti i cittadini. Lo sanno bene sindaci e assessori che martedì sera hanno voluto essere presenti al convegno su «Centri storici, commercio, governo del territorio: buone pratiche di rigenerazione urbana», organizzato da Confcommercio Verona a San Bonifacio. Non in città, ma in provincia, dove maggiore è questa emergenza. Gli amministratori sono arrivati da Lavagno, Legnago, Bovolone, Illasi, Caprino, Colognola ai Colli, Valeggio, Soave, San Giovanni Ilarione, Vestenanova, Monteforte, Caldiero, Bussolengo e Selva di Progno sperando di trovare suggerimenti e consigli concreti per continuare a far vivere o, in diversi casi, far rinascere i loro centri storici. Prima delle soluzioni vanno però capiti i motivi che hanno portato a questa fuga dei negozi. Perché centri commerciali ed e-commerce hanno la loro responsabilità, ma anche gli amministratori non sono stati in grado di risolvere, o quantomeno tamponare, il problema. «È mancata un’integrazione tra la regolazione del commercio, la pianificazione urbanistica, la salvaguardia del patrimonio storico-architettonico e culturale: dove questa integrazione c’è stata il commercio non è andato in crisi», ha spiegato Luca Tamini del Politecnico di Milano, studioso del fenomeno per il quale è anche consulente della Regione Veneto. «Va poi individuato un equilibrio tra pluralismo distributivo, tutela della concorrenza e libertà di iniziativa economica», ha aggiunto, «e una risposta si trova nella relazione e nella collaborazione tra pubblico e privato», cioè in quei distretti del commercio che spesso si sono rivelati la strategia di risposta all’evasione della spesa dai centri e sui quali tanti Comuni stanno lavorando riunendo intorno allo stesso tavolo amministrazione, commercianti e anche agenzie immobiliari, ha suggerito Tamini, «perché il numero di locali sfitti è un importante indicatore della situazione del commercio in un centro: quando il tasso di abbandono supera il 25% significa che il processo è irreversibile e che è stato causato da errori urbanistici fatti nel passato». NELLA «CASSETTA degli attrezzi» che il docente ha fornito a sindaci e assessori presenti, anche il suggerimento di «passare da vincoli e divieti a incentivi e premialità urbanistiche, valutando anche l’effetto della creazione di Ztl e di aree pedonali che a seconda dei casi possono rivelarsi strategici». È vero che in parecchi comuni veronesi questi divieti al traffico sono stati un insuccesso e hanno scatenato le polemiche soprattutto dei commercianti, «ma non c’è una regola che valga ovunque», ha sottolineato Tamini, «quello che conta è esaminare prima e dopo alcuni indicatori, come il prezzo degli immobili, il numero di residenti che decide di andarsene, la quantità di locali sfitti, i parcheggi». Le nostre città del futuro, quelle che Maurizio Danese, vicepresidente di Confcommercio ha descritto come «nuovamente popolate di imprese commerciali, attorno alle quali si ricostruirà un nuovo tessuto sociale e urbano, fatto di relazioni, di incontri, di scambi e nel quale ancora il commercio con i suoi operatori qualificati saprà svolgere un ruolo determinante per la ricostruzione dell’identità socio-culturale» non sono quindi una utopia. Alcuni Comuni in Italia hanno già trovato la ricetta. «È vero», ha aggiunto Danese, «si è creato un profondo cambiamento negli stili di acquisto e avviato un pendolarismo commerciale. Il successo dell’online ci racconta però che ancora è forte nel consumatore l’esigenza di trovare la merce vicino ai luoghi dove vive. Occorrono scelte amministrative, occorre un’ attenta programmazione urbanistica e del traffico, occorre un’azione propositiva che rimetta al centro delle scelte politiche e amministrative il commercio quale strumento di rilancio dei nostri centri storici, perché non sono le mura a fare le città, ma gli uomini che le abitano, il loro sentirsi e farsi riconoscere come comunità». •

Francesca Lorandi

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