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Caporalato, in cella
il titolare di due coop
per sfruttamento

Un altro duro colpo al caporalato made nell’est veronese è arrivato sabato notte con l’arresto di Rachid Boulkoute, 34 anni, residente ad Arcole nell’ambito dell’operazione della Guardia di finanza, culminata già il 9 marzo con l’arresto di altre cinque persone. Tra i nove arrestati ben tre abitano tra Monteforte e Arcole. Ma c’è di più: la guardia di finanza di Soave sta passando i conti, l’attività, i movimenti e quant’altro di due delle sei cooperative, coinvolte nell’inchiesta della procura di Forlì Cesena. Le società finite nel mirino delle Fiamme gialle sono «People» e Service world», con sede fittizia ad Aarcole in via Pagnego dove ora risiedono delle famiglie estranee all’inchiesta. Il valore delle cooperative, rivelano gli inquirenti, si aggira sui 650 mila euro e una delle cooperative aveva assunto 130 dipendenti di cui oltre 90 a tempo indeterminato. Ora tutte le società sono state messe sotto controllo giudiziale. Tra pochi giorni, sarà nominato un commercialista che assumerà il ruolo di commissario delle due cooperative finite nel mirino della Finanza.

Le manette ai polsi di Rachid Boulkoute, difeso dall’avvocato Massimo Dal Ben, sono scattate nella notte tra sabato e domenica alle 2. Il «veronese» è stato arrestato insieme ad altri due indagati mentre il quarto ora si trova in Marocco.

I quattro devono rispondere di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e immigrazione clandestina. Il clichè, fanno sapere gli investigatori, è sempre il solito: centinaia di marocchini approdati in Italia senza arte nè parte, costretti a vivere in balia di questi «caporali» senza scrupoli. I quattro indagati pagavano i connazionali con retribuzioni ben al di sotto ai contratti sindacali. Lo stipendio, spiegano ancora gli investigatori, era sproporzionato rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato. E la sicurezza sul lavoro? e l’igiene? Erano norme praticamente inesistenti per chi tirava le fila di questo mercato abusivo del lavoro. La situazione non migliorava di certo una volta che i migranti lasciavano il posto di lavoro e tornavano a casa. Erano costretti a vivere in vere e proprie stamberghe con pessimi servizi igienici, in abitazioni dove vivevano in una manciata di metri quadri fino a dodici, tredici connazionali. G.CH.

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