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«Brognoligo
e Fittà sono
l’eccezione»

Il gruppo di africani accolti a Brognoligo di Monteforte
Il gruppo di africani accolti a Brognoligo di Monteforte
Il gruppo di africani accolti a Brognoligo di Monteforte
Il gruppo di africani accolti a Brognoligo di Monteforte

La partenza «rumorosa» del capitolo richiedenti asilo a Brognoligo di Monteforte e a Fittà di Soave? L’eccezione che conferma la regola. Così la Prefettura motiva le problematiche segnalate rispetto l’insediamento di alcuni profughi in un’abitazione di Brognoligo e in un b&b di Fittà. «Evento rarissimo», spiega Alessandro Tortorella, capo di gabinetto della Prefettura di Verona, «frutto della coincidenza di alcune criticità, incomprensioni ed equivoci».

Cibo insufficiente e ritenuto inadeguato dai richiedenti asilo, presenza della coop ritenuta insufficiente, critiche sulla gestione e problematiche di ordine pubblico sono, schematizzando molto, le criticità che erano state segnalate. Ma per tutto ciò c’è una spiegazione e, per Tortorella, starebbero per lo più in capo a un singolo nucleo familiare proveniente dalla Nigeria. E già qui c’è un'eccezione, «perché tra i profughi solo il 10 per cento sono donne e solo il 2 per cento sono famiglie». Di mezzo ci sarebbe stato un capo famiglia «aggressivo» che avrebbe dato problemi, anche con comportamenti violenti, prima all'hotel Rizzi di Bussolengo e poi pure a Brognoligo, dove era stato trasferito con la famiglia. Di qui il trasloco del nigeriano all’hotel Aurora di San Zeno di Montagna, mentre moglie e figlia hanno preso la via di Fittà. Tre location e tre gestori, dunque, «ma questi trasferimenti sono l'eccezione. Abbiamo gestito 2000 profughi in quattrp anni e una cosa simile è successa solo un’altra volta. Tuteliamo i nuclei familiari, ma quando ci sono episodi di violenza operiamo con una certa rigidità», spiega Tortorella ponendo l'accento sul fatto che allontanare chi non rispetta le regole sta nell’interesse generale. «Se fosse stato un single sarebbe uscito dal programma: essendo un padre gli abbiamo dato un cartellino giallo. Di rossi ne abbiano dati dodici su 1.400 profughi”.

Oggi a Fittà ci sono dunque mamma e figlia trasferiti da Brognoligo (e la Prefettura sta valutando un ricongiungimento del nucleo familiare in una quarta location autonoma) assieme a due coppie che provengono pure da lì: a Brognoligo, invece, ci sono sei single di Ghana e Gambia, «perché non si mischiano maschi single con nuclei familiari», spiega Tortorella, «men che meno con donne». La gestione è affidata alla Coop San Francesco finita tra le critiche: «Sicuramente ci sono state delle difficoltà di approccio», riconosce Tortorella, «ma quel nucleo familiare non ha fatto molto per collaborare. Alla luce delle segnalazioni apprese anche dalla stampa», spiega il funzionario prefettizio, «abbiamo parlato con la coop invitandola a un’attenzione maggiore. Noi facciamo verifiche e ispezioni periodiche, ma va detto che spesso ci sono reazioni di malessere legate per lo più al clima snervante legato alla lunga permanenza e alle convivenze forzate. Sul cibo abbiamo chiesto più attenzione ma quello proposto è quello europeo ed è, pure, un contesto di integrazione». Ci sono state polemiche sull’arrivo a sorpresa, e senza accoglienza, dei primi profughi a Fittà ma pure le tensioni con un operatore della San Francesco che non avrebbe ricevuto gli ultimi stipendi: «Nelle primissime ore ci può stare un po’ di caos», spiega Tortorella, «forse un’attenzione nel preparare un pochino il terreno non guastava. Ma si recupera. I rapporti tra coop e dipendenti sono quelli tra datore di lavoro e lavoratore. Questa coop collabora con noi da poco, sta facendo esperienza e queste distonìe sono normali. Dalla sua questa coop gestisce una location a Legnago, elogiata da molti, ma ha anche un’operatrice di origine africana e questo, dal punto di vista della mediazione culturale, non è aspetto da poco».

I problemi ci sono stati e sono stati affrontati, ma Tortorella su un punto è lapidario: «Siamo qui per garantire l'assistenza migliore compatibilmente con le possibilità che abbiamo. Se il problema è una busta della spesa facciamo anche ammenda», dice, «ma è ripugnante che qualcuno abbia definito deportato un profugo gestito dalla Prefettura di Verona».

Paola Dalli Cani

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