<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Alcuni imputati legati
alla malavita organizzata

L’avvocato Maurizio Milan
L’avvocato Maurizio Milan
L’avvocato Maurizio Milan
L’avvocato Maurizio Milan

Al termine della loro indagine, i carabinieri avevano chiesto di arrestare dieci dei 13 indagati finiti nella loro rete durante l’indagine, svolta tra interrogatori, appostamenti, pedinamenti e ricognizioni fotografiche. E lo avevano fatto anche sulla base dei precedenti e delle informazioni raccolte su Giuseppe La Rosa, 51 anni, Giovanni Maria Tosato, 60, Fortunato Multari, 49, Mattia Tacchi, 33, Federico Turrini, 40, Giorgio Zamperiolo, 64, Massimo Mantovani, 53, Bruno Turrina, 77, Francesco Frontera, 41, Giuseppe Zambrella, 42, Patrik Halabica, 39,  e Rita Mariani, 60 coi difensori Milan, Pranio, Delaini Canevaro Sentieri, Zambaldo, Antonucci, In realtà, Halabica e Zambrella sono accusati «solo» di ricettazione perchè, a parere dell’accusa, «avevano acquistato o comunque ricevuto 150 play station 3 di marca Sony provento di truffa tra il gennaio e il febbraio del 2011». La storia e i precedenti di alcuni degli imputati è tutt’altro che rassicurante. Nell’informativa del 2011, I militari mettono in fila uno dopo l’altro i precedenti di alcuni degli imputati. A partire dal palermitano Giuseppe La Rosa, ex collaboratore di giustizia, scrivono i militari di San Bonifacio, ben inserito nella cosca mafiosa »San Giuseppe Jato» facente capo a Baldassare di Maggio, l’autista poi diventato collaboratore di giustizia di Toto Riina. Fortunato Multari viene descritto nel 2011 dagli investigatori come affiliato alla cosca Dragone, appartenente alla ’ndrangheta e operante tra Crotone e Cutro. C’è poi Francesco Frontera, recentemente condannato per l’inchiesta Aemilia con il rito abbreviato a otto anni e dieci mesi di carcere. Anche lui, dicono gli inquirenti bolognesi, fa parte del clan di ’ndrangheta Grande Aracri. Nel dettaglio, la procura gli contestava di aver riciclato danaro sporco della cosca con la sua società, la «Edilplanet» di Orgiano in provincia di Vicenza, poi chiusa, attraverso anche un sistema di false fatturazioni. Giuseppe Zambrella e Patrik Halabica vengono indicati dai carabinieri nel 2011, invece, come affiliati ai clan camorristici del Casalesi. Proprio Zambrella nel febbraio del 2014 è stato condannato in appello a 4 anni 10 mesi e venti giorni nell’ambito dell’operazione Serpe, un’operazione della Dia di Padova contro il un’associazione collegata al clan dei casalesi che operavano in Veneto. G.CH.

Suggerimenti