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Affetta, cucina, servi: una catena di montaggio

Il ristoro di Soave
Il ristoro di Soave
Il ristoro di Soave
Il ristoro di Soave

L’infinito ristoro di partenza, quello che serve la colazione in piazza Silvio Venturi, è questione di famiglia: lo tien su il «clan» Pelosato, cioè il patriarca Giancarlo, i figli Carlo, Luciana, Silvano, Lucia, Paolo, la zia Clara con suo marito Mario e la figlia Giada assieme a un gruppetto di volontari «foresti», cioè alcune persone di Colloredo che amici sono diventati per via del Carnevalon, altro evento topico del calendario montefortiano. Biscotti, frutta a pezzetti, almeno 200 chili di cioccolata calda che ribolle in un pentolone da 50 litri, pane e cioccolato, panettone, acqua. Sono operativi dalle 6 e quando, alle 10, il centro sarà deserto dopo che sarà partito anche l’ultimo dei competitivi si sposteranno al Parco comunale dove la piastra del campo da basket si trasforma in cucina e punto di distribuzione di un minimo di 16 quintali di tortellini Avesani. Lì ci lavorano oltre una cinquantina di persone perché al ristoro finale ci approdano tutti, competitivi compresi: la ricetta è un segreto, e del resto ci deve essere davvero un ottimo motivo per «digerire» attese estenuanti della propria porzione. Chi affetta, chi mette sui vassoi, che serve, chi cucina: è un movimento continuo e convulso ma quando hai da accontentare più di ventimila persone le capacità umane rivelano i propri limiti. Lungo il percorso da 9 chilometri, sarà che la gente ci arriva con comodo e l’andatura della domenica, c’è tutt’altra aria: Giampaolo Ghiotto e Franco Bruno, i «capo ristoro» controllano l’Ape Piaggio trasformata in juke box. «È la novità 2018», dicono orgogliosi improvvisando una coreografia sulle note di YMCA dei Village People. Basta girare lo sguardo, però, per accorgersi di un’altra bella novità: è il ristoro a quattrozampe messo su da Pierina e composto da alcune vaschette con scorta d’acqua ed una scatola con i pezzetti del pan biscotto e delle fette biscottate rotte. «Bella idea», dicono Stefano ed Elvira, podisti di Caldiero alla terza Montefortiana. «Siamo partiti dai 20 chilometri, l’anno scorso abbiamo fatto i 14 e adesso toccava ai 9, più adatti a Stella», dicono mentre la loro cagnolina si disseta. «Bella zona, bella manifestazione e il valore in più, per noi, è che è vicino casa». Siamo sul Monte Foscarino, in località Veneri (perché così si chiama la famiglia proprietaria del mastodontico capitello di San Pietro ad un passo da lì) ed è qui che anche i podisti del percorso breve possono gustarsi il mitico minestrone degli Alpini di Monteforte: ce ne sono 3 quintali disponibili. Altro ristoro che costituisce un unicum è quello di piazza Antenna, a Soave: lo organizzano una ventina delle penne nere del gruppo guidato da Enrico Zago. È un ristoro super classico per via di ciò che ci si può trovare, il valore aggiunto lo dà il luogo: si arriva da Porta Aquila e si approda alla panoramica sulla centralissima via Roma e girando la testa ci si fa rapire dalla ripida strada di ciottoli che sale verso il castello. In tanti scelgono di fare soste prolungate e si scatenano selfie e fotografie. Non si risparmiano nemmeno un gruppetto composto da una decina di «costalunghesi! Siamo di Costalunga di Monteforte», precisano. I coordinatori del gruppo sono Maurizio Avogaro ed Enzo Gasparin impegnati a raccontarti quanto sia bella «la compagnia», buoni «i goti, el brulè, il the, il pandoro e il minestrone» ma quanto sia «meraviglioso in territorio». Ma come? Se ci abitate dentro? «Sì, ma la Montefortiana è una occasione in più per apprezzarlo!», dicono. Passa da lì anche Beppino Rizzo, il leggendario postino di Oriago di Mira: l’ultimo avvistamento alla Montefortiana di questo bizzarro e positivo personaggio risaliva, dopo sedici anni di presenza ininterrotta, al 2009. Quando si è presentato alla partenza si è levata una vera ovazione: corona da indiano sioux sulla testa, trucco pellerossa in pendant, poncho messicano sulle spalle, collana di fiori di carta ed una collana fatta dai bambini delle favelas con le linguette delle lattine: «Ho fatto tante competitive in questi anni, avevo bisogno di ricaricarmi alla Montefortiana! Io a Monteforte ci voglio morire!». • P.D.C.

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