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Lavagno

Addio per sempre
all'ospedale sognato
da don Verzè

Lavagno
Ecco come sarebbe dovuto essere il San Raffaele Quo Vadis a Lavagno
Ecco come sarebbe dovuto essere il San Raffaele Quo Vadis a Lavagno
Ecco come sarebbe dovuto essere il San Raffaele Quo Vadis a Lavagno
Ecco come sarebbe dovuto essere il San Raffaele Quo Vadis a Lavagno

L’ultimo consiglio comunale ha definitivamente cancellato il progetto dell’ospedale innovativo San Raffaele Quo vadis con cui don Luigi Verzé, originario di Illasi e fondatore del San Raffaele di Milano, aveva fatto tanto parlare di sé e di Lavagno negli anni passati. L’amministrazione del sindaco Simone Albi ha mantenuto fede ad una delle più importanti promesse della campagna elettorale del 2014, con cui si impegnava a riportare alla destinazione di parco collinare e area agricola la zona in cui, sul colle di fronte alla chiesa di San Giacomo, avrebbe dovuto sorgere l’ospedale 2.0.

LA STORIA. Era il 28 maggio 1994 quando, alla presenza di autorità e di don Leonello Masconale parroco di San Pietro di Lavagno, sulla collina di fronte a San Giacomo venne innalzata una croce. Qui sarebbe sorto il San Raffaele Quo Vadis, una nuova creatura da don Verzé. Poi tutto fermo. Ma venerdì 22 giugno 2007 alle 18, dopo aver ottenuto l’approvazione del progetto da parte della Regione Veneto, la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor pose sul colle la prima pietra della struttura, presentando il plastico di un centro per la ricerca scientifica, strutturato per promuovere l’uomo - persona e tutte le cure a tutela della sua salute. Erano presenti alla cerimonia, benedetta dal vescovo di Verona padre Flavio Carraro, don Luigi Maria Verzé, presidente della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, l’onorevole Umberto Bossi, il professor Salvatore Cuffaro, presidente della Regione Sicilia, e Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto. Ai piedi della collina di fronte a San Giacomo non si videro mai tanti elicotteri.

IL PROGETTO. Quasi 400mila i metri quadrati di terreno trasformati a servizi e attrezzature pubbliche. Qui don Verzé intendeva costruire il suo centro sanitario privato destinato attraverso la medicina predittiva e 2.0 a far vivere fino a 120 anni. Il piano urbanistico, di forte impatto anche viabilistico, sarebbe scaduto nel 2016: previsti 15 edifici, una centrale operativa per i collegamenti satellitari e alcuni campi sportivi. Nel 2007, i volumi sulla carta erano divisi in singoli locali, ciascuno con la propria destinazione d’uso. Per i soldi si accennava a finanziatori pubblici italiani e privati stranieri. Nel frattempo, in attesa che il San Raffaele Quo Vadis divenisse realtà a Lavagno, don Verzé apriva sul Monte Tabor a Illasi alcuni ambulatori (vedi altro articolo in pagina). Il San Raffaele di Lavagno sarebbe stato grande la metà di quello di Milano. Nel 2009, la società Quo Vadis, di cui era presidente l’avvocato Sardos Albertini e socio unico don Verzé, consegnava al Comune il progetto particolareggiato della struttura. VIABILITÀ. Anche la viabilità della zona sarebbe stata modificata con la realizzazione di una strada, parallela all’ A4, che avrebbe congiunto l’ingresso della tangenziale Sud a Vago, con una rotonda da ricavare in via San Giacomo di Sopra. Un’altra rotatoria sarebbe sorta nella parte di San Giacomo rivolta verso località Casette di San Martino. Nelle intenzioni del sacerdote di Illasi, lo Stato avrebbe potuto assegnare al San Raffaele di Lavagno anche 50 posti letto in day-hospital riservati alla ricerca, visto che la struttura sarebbe stata una derivazione di Milano.

IL TRAMONTO. Alla morte del prete manager all’età di 91 anni, avvenuta il 31 dicembre 2011, il dissesto finanziario della Fondazione Monte Tabor, che controllava l’ospedale San Raffaele di Milano, travolse anche il progetto Quo vadis che si sfaldò in fretta. Quando nel 2014 Simone Albi si è presentato alle elezioni, per poi essere riconfermato sindaco, nel programma elettorale prometteva: «Riporterò la parte del colle interessata dal progetto Quo Vadis alla sua originaria destinazione agricola e a parco collinare, come era precedentemente». Proprio questo ha deciso nei giorni scorsi il Consiglio comunale cancellando ogni elemento legato a un grande sogno a cui mancavano, però, i piedi per terra. «Questa decisione», commenta Albi, «oltre che per dar seguito a un impegno preso verso la cittadinanza di Lavagno, è stata doverosa per far chiarezza su un progetto che tanto ha fatto discutere, ma che nulla ha prodotto in termini concreti per il territorio, come tante altre avventurose e incomprensibili iniziative ereditate dal passato». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giuseppe Corrà

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