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A Soave il vino in tutte le lingue

L’installazione «Un cielo... DiVino» a Porta Verona, a Soave FOTO PECORA
L’installazione «Un cielo... DiVino» a Porta Verona, a Soave FOTO PECORA
L’installazione «Un cielo... DiVino» a Porta Verona, a Soave FOTO PECORA
L’installazione «Un cielo... DiVino» a Porta Verona, a Soave FOTO PECORA

«Abbinare il nome del Vinitaly a quello di Soave è stata un’occasione unica per intercettare l’enorme flusso di visitatori e appassionati che ogni anno raggiunge la fiera di Verona»: è soddisfatto Roberto Ferroli, presidente della Pro loco di Soave, per la designazione del proprio paese come una delle tre «depandances» della manifestazione. Anche perché, oltre ai visitatori italiani, si sono visti avvicinare agli stand tedeschi, francesi, olandesi e giapponesi. Tutti turisti attratti, oltre che dai vini veronesi in mescita, pure dalle bellezze storiche e naturalistiche della zona del Soave Doc. Vinitaly and the City, che a Soave si è chiuso ieri sera (così come a Bardolino e Valeggio, le altre due sedi) ha suscitato entusiasmo soprattutto in chi non si è fatto sfuggire l’opportunità di fare promozione del territorio e del suo vino: volontari hanno lavorato sodo non solo da venerdì a ieri - tanto è durato Vinitaly and the City nei tre paesi della provincia - ma anche e soprattutto nella preparazione dell’evento. Com’è giusto che sia per una novità. E così ecco l’installazione artistica dentro Porta Verona con 600 bottiglie (piene) di vino di tutte le cantine del Comune, battezzata «Un cielo... DiVino»; ecco le sculture, i dipinti con il vino, le manifestazioni, la tradizionale ospitalità. «Il nostro obiettivo, come associazione, è quello di portare sempre più visitatori a Soave, affinché possano scoprire l’unicità del nostro borgo storico e delle colline che lo circondano», aggiunge il presidente della Pro loco. Gli fa eco Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio di tutela del Soave: «Ritengo che Vinitaly and the City a Soave sia stato il giusto riconoscimento per tutti quei produttori, quelle aziende e quelle cantine che in questi anni hanno lavorato per migliorarsi sempre di più. «E siamo fieri che l’evento sia stato organizzato proprio nel cinquantesimo della nostra denominazione». Soddisfazione, per come è andata, anche a Bardolino, «patria» del Chiaretto, anche per la sottoscrizione del Patto d’intenti per la valorizzazione del vino rosato autoctono italiano: è stato suggellato così, con un atto formale, il rapporto di collaborazione avviato negli ultimi mesi tra i consorzi di tutela Bardolino, Valtènesi, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte e Salice Salentino, vale a dire i territori che in Italia da sempre esprimono una particolare vocazione nella produzione di vini rosé e che costituiscono oggi i capisaldi dei rosati a menzione geografica ottenuti da uve autoctone. Capofila del progetto è proprio il Consorzio del Bardolino, rappresentato dal presidente Franco Cristoforetti, alla cui firma si sogno aggiounte quelle di Alessandro Luzzago, presidente del Consorzio Valtènesi, Eugenio Manieri direttore del Consorzio del Salice Salentino, Valentino Di Campli, presidente del Consorzio vini d’Abruzzo e di di Francesco Liantonio, presidente del consorzio di Castel del Monte. Valeggio sul Mincio è stato il terzo paese «satellite» del Vinitaly. Una scelta quasi obbligata, ha sottolineato all’ inaugurazione Mario Rossini, di Veronafiere: «Valeggio è stata una scelta d’elezione per invitare gli appassionati a conoscere i vini, mescolando cultura del cibo e territorio». E invitare i valeggiani, aggiungiamo noi, ad ammirare il fascino di villa Guarienti, sede «elegante», come ha sottolineato il sindaco Angelo Tosoni, dell’evento. •

Zeno Martini

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