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Un veronese indagato
per i «fasci del lavoro»

C’era anche Simone Grazio, un cinquantenne di Negrar, a Mantova nel 2000 quando una manciata di nostalgici si riunì per firmare lo statuto del Movimento Fasci Italiani del lavoro. L’obiettivo era quello di «garantire gli interessi degli italiani» negando «l’estraneità e l’avversione maggioritaria del popolo verso il regime politico denominato "fascista"».

Il movimento andò avanti più o meno nel silenzio, acquistò consensi in diverse province italiane fino all’exploit del mese scorso, nel comune mantovano di Sermide, dove ha raccolto oltre il 10 per cento dei consensi. Tanto è bastato per accendere i riflettori di tutto il Paese su quei Fasci Italiani del lavoro, finiti in questi giorni in un’inchiesta aperta dalla Procura di Mantova. L’accusa è di apologia al fascismo, ossia violazione della legge Scelba e della dodicesima disposizione finale della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista. Nove gli indagati, da Genova a Mantova, da Pordenone a Palermo. Nell’elenco compare anche Grazio: lunedì i carabinieri hanno fatto irruzione nella sua abitazione di Negrar, alla ricerca di materiale utile alle indagini. «È accusato di aver firmato, diciassette anni fa, lo statuto del movimento», spiega il suo legale, Roberto Bussinello. «Dopo quella firma, da parte sua non c’è più stato alcun interessamento né alcuna attività politica», aggiunge l’avvocato.

Altri fondatori dei «Fasci» l’attività l’hanno invece proseguita. Come il mantovano Claudio Negrini che in questi diciassette anni ha candidato il movimento a ogni tornata elettorale. Fino all’exploit dell’11 giugno scorso quando la figlia Fiamma, vent’anni, ha raccolto il dieci per cento dei consensi, entrando così di diritto nel consiglio comunale. Un’elezione che ha scatenato la bagarre. Laura Boldrini, terza carica dello Stato, infuriata ha scritto al Viminale, le interrogazioni parlamentari si sono sprecate, mentre il prefetto di Mantova ha deciso di revocare i membri della commissione di ammissione delle liste. E anche la Procura ha fatto la sua parte, aprendo un’inchiesta.

«In realtà è un processo politico e alle idee», commenta Federico Donegati, avvocato di Rovigo che difende quattro degli indagati, compresi i due Negrini. «Nello statuto del Movimento», sottolinea, «ci sono dei richiami al fascismo, ma solo di tipo economico, come ad esempio le riforme sociali o la carta del lavoro. Ma c’è anche l’accettazione delle regole democratiche, come dimostra la candidatura alle ultime elezioni».

Lunedì sono in programma i primi interrogatori. «Io presenterò una memoria difensiva», aggiunge Donegati, «chiederò l’archiviazione di questa inchiesta che, ripeto, ha una matrice ideologica».

Francesca Lorandi

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