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Tosi ha difeso la libertà È finito nel lager nazista

Luigi Tosi in una foto del 2009 , era autista Amt, è morto a 91 anni
Luigi Tosi in una foto del 2009 , era autista Amt, è morto a 91 anni
Luigi Tosi in una foto del 2009 , era autista Amt, è morto a 91 anni
Luigi Tosi in una foto del 2009 , era autista Amt, è morto a 91 anni

Maria Vittoria Adami Aveva difeso la libertà. E gli era costato l’internamento nel lager nazista di Ottobrunn in Germania, un campo esterno di Dachau, alle porte di Monaco. Sopravvissuto, ha mantenuto perpetua quella memoria che si è spenta venerdì a mezzogiorno, in ospedale. Luigi Tosi, 91 anni compiuti in agosto, è morto, lasciando la moglie Novella e la figlia Gabriella oltre a due nipoti e pronipoti. Il funerale sarà celebrato giovedì, alle 10.30, nella basilica di San Zeno, nel suo quartiere. Tosi abitava agli Orti di Spagna, ma la sua storia inizia a Mezzane di Sotto dove nasce il 14 agosto 1926. Con la famiglia si trasferisce, da bambino, a Montorio. Poi arriva il 15 febbraio 1944. Verona è centro nevralgico della Repubblica di Salò e della Gestapo. Sta facendo una pausa dal lavoro, ha 17 anni, è meccanico all’Autofficina Valpantena. Di fronte alla chiesa di San Giuseppe Fuori le mura, in Borgo Venezia, vede un uomo sulla quarantina rivolto ad alcuni militari tedeschi additare i passanti dicendo che dovrebbero essere ammazzati tutti quelli che non vogliono la guerra e non aderiscono alla Repubblica di Salò. Luigi non si trattiene e lo affronta dicendogli che piuttosto si dovrebbero ammazzare i fascisti «e non la povera gente che vuole la pace». L’uomo gli chiede i documenti e gli strappa la tessera di lavoro. L’8 marzo Luigi è arrestato dai carabinieri e portato alle scuole Sanmicheli. La sera è già su un treno diretto a Monaco, Dachau. Finisce a Ottobrunn «sempre controllati dalla Ss e dalla Gestapo», ha raccontato a L’Arena nel 2009, con la divisa e le «sgalmare» ai piedi, come calze la carta dei sacchetti di cemento e in pancia pane e acqua nera la mattina e una brodaglia a mezzogiorno. Il lavoro è massacrante: scava in continuazione, sotto la pioggia, nella neve, immerso nella melma, senza speranze e con un terrore quotidiano: ogni tanto qualche guardia se la prende con qualcuno e gli spara un colpo in testa. A novembre è al campo di Siegendorf, al confine austroungarico, per costruire fortificazioni contro l’Armata Rossa. Dal marzo 1945, è di nuovo a Ottobrunn. È lì che il 23 aprile, con stupore, nota che nel campo non ci sono più le guardie. Subito con due amici veronesi, Gino Magagnotti e Aldo Zeri, parte a piedi verso l’Italia. Innsbruck, Brunico, Bressanone, Bolzano, Trento e Verona, casa. Poco distante, la prima persona che gli va incontro è la madre, Maria Luigia Roncari: è di ritorno dalla chiesa dove è andata a pregare per lui. La donna lo abbraccia, lo lava, lo medica. Quante volte nel lager Luigi ha invocato il suo nome. Nel 1946 inizia per lui la vita normale. Sposa Novella, da cui ha una figlia, Gabriella. Diventa autista all’Amt ed è una colonna dei donatori di sangue Avis. Non ha mai smesso, però, di ricordare quei giorni. «Viveva con apprensione i rigurgiti fascisti che registriamo in questi mesi», spiega oggi Roberto Bonente, dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza. L’ente di via Cantarane nel 2009 gli ha dedicato il video «Memorie di un deportato». «Voglia il buon Dio», ha sempre detto Tosi, «che tragedie simili non succedano mai più e che nel mondo regni fratellanza, amore e pace». •

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