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L'incidente il 20 gennaio 2017

Strage nel pullman
Il pm chiede
sei rinvii a giudizio

L'incidente il 20 gennaio 2017
Lo scheletro del pullman divorato dal fuoco
Lo scheletro del pullman divorato dal fuoco
Lo scheletro del pullman divorato dal fuoco
Lo scheletro del pullman divorato dal fuoco

Sono i dettagli di una indagine difficile, emotivamente pesantissima, a far rabbrividire. Nei sei faldoni del pm Sacher che raccontano il maledetto incidente del pullman ungherese avvenuto il 20 gennaio del 2017 in autostrada a Verona Est, c’è scritto tra le righe che poteva essere una tragedia ben peggiore. Morirono bruciati, quella notte, 17 passeggeri, quasi tutti studenti di Budapest tra i 14 e i 18 anni di ritorno dalla gita scolastica in Francia; oltre a loro (tra le vittime anche qualche accompagnatore e il secondo autista), rimasero feriti gravemente altri quattro ragazzi (ustioni profondissime e traumi alla testa) mentre 25 se la cavarono con 30 giorni di prognosi. «La strage di Verona», come è stata da subito chiamata, poteva avere un bilancio, sostiene la Procura veronese, molto peggiore. Se quel «serbatoio di scorta» alloggiato sul lato posteriore del bus per garantire il rifornimento di gasolio durante il lungo viaggio, fosse stato pieno, «sarebbero morti tutti». Tutti e 60 carbonizzati tra le lamiere incandescenti. Per fortuna, invece, il pullman stava tornando e quindi la «tanica viaggiante» era già stata svuotata oltre la metà. Per fortuna, i morti sono stati «solo 17». Sono alcuni dei dettagli angoscianti dell’inchiesta che il pubblico ministero Paolo Sachar ha chiuso nei giorni scorsi chiedendo il rinvio a giudizio di sei indagati chiamati a rispondere di omicidio colposo plurimo. Rischiano tutti fino a 18 anni di pena. Nel dettaglio, compariranno dopo l’estate davanti al gip Luciano Gorra: Janos Varga, 53 anni, l’autista del pullman (ha avuto un colpo di sonno, conferma la Procura, perdendo il controllo del mezzo che è andato a sbattere contro un pilone di un ponte dell’autostrada); Alberto Brentegani, responsabile della tratta dell’autostrada Brescia-Padova in cui è avvenuto l’incidente mortale (sarebbe colpevole di non aver verificato «le condizioni di efficienza e di adeguatezza delle pertinenze stradali»); Giovanni Luigi Da Rios, capo dell’Ufficio tecnico e progettista dei lavori di sistemazione dello spartitraffico centrale e delle barriere di sicurezza risalenti al 1992; Michele De Giesi, Maria Pia Guli e Enzo Samarelli tutti consiglieri della Commissione Anas (nominata nel 1993) per collaudare i lavori di fornitura eosa in opera delle barriere stradali. Sono soprattutto i «tecnici», è la tesi del pm, oltre naturalmente all’autista (era notte fonda ed ha avuto un colpo di sonno, unica cosa certa), ad avere responsabilità per questo bollettino di sangue. Collaudatori e progettisti avrebbero posizionato le barriere nel modo scorretto, cioè troppo vicino al pilone di sostegno del ponte: queste strutture ad onda, è emerso dalle varie perizie dei consulenti del pm, avrebbero fatto il loro mestiere di «contenimento» del pullman impazzito se non fossero state collocate a ridosso di un ostacolo come quel pilone che ne ha impedito tecnicamente il corretto funzionamento. Per funzionare, queste barriere, hanno bisogno di spazio mentre lì, all’altezza dello svincolo di San Martino Buon Albergo dove in pochi secondi è andato in onda l’inferno, a mezzo metro di distanza, c’era il pilastro. E, poi, avrebbero comunque dovuto essercene di più, essere «più fitte». Dettagli che fanno la differenza e che, di fronte ai 17 ragazzi morti bruciati, saranno fondamentali per capire se si poteva evitare la strage. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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