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«Sdraiati per terra, cantavamo in maori per farci coraggio»

Michele Tordiglione in un momento di serenitàL’attentatore arrestato dopo la sparatoria, sullo sfondo le finestre della scuola di Michele I ragazzi sdraiati sul pavimento della scuola durante la sparatoriaI compagni di scuola di Michele durante la sparatoria
Michele Tordiglione in un momento di serenitàL’attentatore arrestato dopo la sparatoria, sullo sfondo le finestre della scuola di Michele I ragazzi sdraiati sul pavimento della scuola durante la sparatoriaI compagni di scuola di Michele durante la sparatoria
Michele Tordiglione in un momento di serenitàL’attentatore arrestato dopo la sparatoria, sullo sfondo le finestre della scuola di Michele I ragazzi sdraiati sul pavimento della scuola durante la sparatoriaI compagni di scuola di Michele durante la sparatoria
Michele Tordiglione in un momento di serenitàL’attentatore arrestato dopo la sparatoria, sullo sfondo le finestre della scuola di Michele I ragazzi sdraiati sul pavimento della scuola durante la sparatoriaI compagni di scuola di Michele durante la sparatoria

La scuola che frequenta, a Christchurch, in Nuova Zelanda, sorge proprio davanti a una delle due moschee attaccate ieri da un gruppo armato di quattro persone. Il bilancio del massacro è di 49 morti. A guidare il commando è stato un ventottenne australiano, Brenton Tarrant, che nella sua orribile diretta Facebook della strage, dalla chiara matrice razzista e antimigranti, si descrive come “un normale uomo bianco“. Michele Tordiglione, studente del liceo Maffei, compirà 18 anni fra un mese. Da settembre frequenta la Papanui High School a Christchurch, nell’ambito di un progetto internazionale di scambio tra scuole. Tornerà a Verona a fine maggio, ma il ricordo del terribile evento di cui è stato testimone gli rimarrà per tutta la vita. Lo raggiungiamo al telefono grazie all’aiuto della mamma, Gabriella Giunta. In Nuova Zelanda è ormai notte fonda. Dal paese oceanico ci dividono infatti 12 ore di fuso orario. «Erano da poco passate le 14», racconta Michele, «le lezioni erano appena terminate e noi studenti eravamo ancora all’interno dell’edificio. Io mi trovavo nell’ufficio internazionale e stavo parlando con una professoressa quando è scattato l’allarme “lockdown“... Subito non gli ho dato tanto peso, pensavo fosse una prova, ero tranquillo tanto che a un mio amico ho dato appuntamento per il pomeriggio al vicino centro commerciale... Nemmeno immaginavamo quello che stava succedendo fuori, a qualche decina di metri di distanza». Nel giro di pochi minuti lo scenario cambia completamente. «All’improvviso è entrato un poliziotto in borghese, aveva l’espressione molto seria e subito dopo ci hanno fatti entrare nelle aule e di sdraiarci a terra per non essere visti all’esterno dalle finestre e non diventare così dei possibili bersagli. Siamo rimasti così», prosegue Michele, «per una quarantina di minuti e nel frattempo alcuni poliziotti armati fino ai denti e con i cani antiesplosivo passavano al setaccio tutti i locali... Ci chiedevano se era tutto a posto, successivamente siamo stati invitati a spostarci, tutti quanti, nella grande hall, dove siamo rimasti, seduti per terra, fino quasi alle 18,30... Man mano che passavano le ore, aumentavano anche la paura e l’ansia». «I vetri», continua nel suo racconto lo studente veronese, «vibravano per il movimento delle pale degli elicotteri che sorvolavano la zona... La tensione era altissima, c’era caldissimo, eravamo in seicento stipati nel grande locale e si respirava a fatica, alcune ragazze piangevano disperate, ma ci sono stati tanti gesti di solidarietà. Quelli che avevano con sé delle bottigliette d’acqua le passavano anche ai loro compagni e ad un certo punto un gruppo di studenti ha intonato dei canti maori per farsi coraggio». Alcune immagini, girate dallo stesso studente con il cellulare, di quello che succedeva nella scuola si possono vedere su questa stessa pagina. All’interno della scuola, in Langdons road, e il cui nome in lingua maori significa “terra piatta“, non si sentivano spari o esplosioni. «Ma alcuni ragazzi che si trovavano vicino alle finestre, mentre eravamo ancora distribuiti nelle aule», aggiunge Michele, «avevano intravisto l’arresto di uno dei terroristi, avvenuto proprio davanti al cancello principale dell’istituto. Gli agenti, pistole in pugno, hanno trascinato il sospettato fuori dalla sua automobile. Più tardi, sui telefonini cominciava a girare il video girato da uno dei terroristi e messo in rete che mostrava le vittime della strage... Immagini davvero impressionanti, terribili, con un sottofondo musicale che qualcuno definiva “arabo-fascista“... Una volta a casa, dai notiziari abbiamo appreso le dimensioni della strage». Mentre era ancora nella grande hall, Michele si è messo in contatto, tramite WhatsApp, con il papà Roberto. «Aveva sentito dell’attacco a Christchurch... Era in lacrime, terrorizzato che mi fosse accaduto qualcosa». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Enrico Santi

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