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Salvini: «Al Veneto autonomia subito»

Salvini , al centro, con gli eletti  Paolo Tosato, Lorenzo Fontana, Roberto Turri e Paolo Paternoster
Salvini , al centro, con gli eletti Paolo Tosato, Lorenzo Fontana, Roberto Turri e Paolo Paternoster
Salvini , al centro, con gli eletti  Paolo Tosato, Lorenzo Fontana, Roberto Turri e Paolo Paternoster
Salvini , al centro, con gli eletti Paolo Tosato, Lorenzo Fontana, Roberto Turri e Paolo Paternoster

Fuori tira l’arietta di una primavera sbilenca. Dentro, al caldo nel Palatenda di San Giovanni Lupatoto, almeno settecento militanti e lo stato maggiore veronese della Lega si lasciano trasportare dal vento della vittoria. Lui, Matteo Salvini, «questo ragazzo che quattro anni fa ha scommesso su un sogno», come lo definisce il neoeletto deputato Lorenzo Fontana, parlerà per ultimo. Reduce da Modena, diretto a Trento, assediato da telecamere e microfoni, sbriga subito la domanda chiave: «Si parte dal centrodestra, chiaro. E si dialoga sulla base del programma, dipende da chi ci darà una mano per cancellare la legge Fornero sulle pensioni, condividerà la rivoluzione fiscale, la legittima difesa e la certezza della pena. L’unica cosa che mi spaventa è il tempo perso: le aziende non aspettano e la primavera porterà nuovi sbarchi». Un ministro veronese o veneto? «Ora penso al programma», glissa. Magari Fontana? «Non faccio nomi», ribatte, «al momento mi occupo d’altro». IL RISULTATO. Solleva l’applauso quando ricorda come «a Verona e nei Comuni della provincia la Lega sia il primo partito. Il frutto di un grande sforzo comune, tutti voi siete da ringraziare, perché avete dato il massimo da quattro anni». Non scioglie gli interrogativi neppure su ipotizzabili contrasti con Berlusconi per la guida di Veneto e Lombardia: «Non vedo l’ora di finalizzare l’accordo per l’autonomia già firmato da Zaia e Maroni». Poi scherza: «Se guiderò il governo, con Luca non credo di impiegare più di tre minuti per concludere la trattativa». Lo vedono tutti già premier, i cartelli portano ancora la stessa scritta che aveva accompagnato la campagna elettorale. Salvini non si sbilancia ma si lascia andare comunque all’atmosfera: «Ho chiamato Di Maio», dice serio. «Ma anche Martina e Grasso», aggiunge mentre dalla folla si levano cori ironici. Infierisce su Laura Boldrini («L’ho chiamata, suonava occupato») e Matteo Renzi: «Credo fosse a giocare a tennis». «Adesso è l’ora di trasformare i progetti in fatti, mettendo il lavoro al centro. Ho fretta perché voglio un governo che duri cinque, dieci anni, per riportare l’Italia davanti alla Germania. Vediamo chi ascolterà ma l’ultima cosa di cui ho paura è di andare al voto», dice rivolto ai militanti. LA SQUADRA. Palco affollato, onori di casa affidati a sindaco e vice di San Giovanni Lupatoto, Attilio Gastaldello e Fulvio Sartori. «Mi dispiace per quel “Nord“ che non c’è più nel simbolo», ammette Toni Da Re, segretario della Liga Veneta, «ma abbiamo fatto bene a scegliere di essere una forza nazionale». «C’è di che essere orgogliosi della nostra rete di amministratori», commenta il segretario provinciale della Lega e deputato, Paolo Paternoster: «Ci è stata data fiducia e la si deve restituire con entusiasmo e onestà». Federico Sboarina, venuto a «salutare gli amici», mette l’accento sulla «rinascita del centrodestra, una sfida difficile anche a Verona», ricorda, «cominciata un anno fa con il voto amministrativo, proseguita con il referendum sull’autonomia e ora con le elezioni del 4 marzo. Un inizio, per riportarci al governo del Paese». Il ritmo della serata è quello di una celebrazione. Sintetica ma completa: «Sta ritornando, attenzione, l’Europa delle grandi banche, delle delocalizzazioni, quella che ci vorrebbe consumatori globali senza identità», avverte Lorenzo Fontana, vicesindaco di Verona, eurodeputato e neoletto alla Camera. «Ne vogliamo una diversa, rispettosa delle specificità. Un concetto che per noi equivale all’essere veneti». «L’obiettivo è di fare valere la nostra cultura del lavoro dicendo no all’assistenzialismo. Non ci appartiene l’idea di starcene a casa e percepire un reddito», chiosa il senatore Paolo Tosato. Alla fine, dice l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, «vedo realizzarsi i sogni per cui, vent’anni fa, mi iscrissi alla Lega. Il Veneto non è finito e non lo è l’Italia: serve solamente un governo migliore». L’APPELLO. Matteo Salvini chiude il cerchio: «Va bene, oggi festeggiamo, si beve un bicchiere di rosso e poi si ricomincia». A breve lo aspetta la Calabria, méta impensabile non molto tempo fa. «Attenzione però», avverte i suoi, «bisogna continuare a girare, a stare tra la gente, perché i voti vanno e vengono. Molti che disertavano le urne mi hanno detto “ti ho scelto questa volta“, una sorta di ora o mai più». «Certo», torna a scherzare, «sono giornate belle e complicate ma è l’ora di tenere i piedi per terra, non montarsi la testa. Non c’è bisogno di “fenomeni“». Il rito finale è inevitabile: i «selfie» con Matteo. «Ok, preparate i telefoni, io purtroppo ho solo otto minuti», annuncia. «Statevene lì pronti che adesso vengo giù io e passo da voi». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Paolo Mozzo

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