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Salgari, cronista e romanziere
Un «capitano» in redazione

La statua dedicata a Emilio Salgari davanti alla Civica di via CappelloL’Arena del 26-27 aprile 1919 con la notizia della morte di Salgari
La statua dedicata a Emilio Salgari davanti alla Civica di via CappelloL’Arena del 26-27 aprile 1919 con la notizia della morte di Salgari
La statua dedicata a Emilio Salgari davanti alla Civica di via CappelloL’Arena del 26-27 aprile 1919 con la notizia della morte di Salgari
La statua dedicata a Emilio Salgari davanti alla Civica di via CappelloL’Arena del 26-27 aprile 1919 con la notizia della morte di Salgari

Pochi sanno che Emilio Salgari, il più grande scrittore italiano di libri d’avventura, nato a Verona il 21 agosto 1822 e morto suicida a Torino il 25 aprile 1911, è stato cronista dell’«Arena» (la vecchia testata non era preceduta dall’articolo determinativo come oggi) dal 1883 al 1893. Lavorava contemporaneamente su due tavoli distinti cambiando pelle ogni volta che si spostava dall’uno all’altro: cronista mentre lavorava di qua e romanziere mentre lavorava di là. Non cambiava pelle del tutto perché il primo assestava di tanto in tanto la zampata del narratore, mentre il secondo metteva i fatti di cronaca sullo sfondo delle sue creazioni fantastiche, specie in quei romanzi che si possono considerare dei veri e propri instant-book.

Mentre però il Salgari scrittore di libri d’avventura è molto noto in Italia e in parecchi paesi del mondo, il Salgari giornalista è stato smascherato solo nel 1992, quando, sulla scorta di indizi disseminati dagli studiosi che ci hanno preceduto, cercando nelle raccolte dell’«Arena» di Verona, abbiamo trovato numerosi articoli senza firma o siglati, attribuibili a una penna dal raschio inconfondibile come la sua.

In seguito sarebbe affiorato anche un Salgari giornalista precedente a quello dell’Arena, il quale, pur pubblicando romanzi a puntate sulle appendici della concorrente La Nuova Arena, vi collaborava anche in veste di commentatore di politica estera con lo pseudonimo stravagantemente spagnolesco di Ammiragliador o L’Ammiragliador e di recensore di spettacoli teatrali col nom de plume di Emilius. Dunque, il «Verne italiano», come si sarebbe definito, prima di dedicarsi a scrivere libri a tempo pieno, aveva indossato le mezze maniche nere e la visiera di celluloide del redattore, ma nello stesso tempo, sulla Nuova Arena, il giornale del suo apprendistato, pubblicava i suoi primi romanzi.

Il ruggito di Sandokan, l’uomo-tigre, prima che dalle pagine di un libro, era salito dalla carta inchiostrata del quotidiano che lo aveva accolto a braccia aperte come dirà molti anni dopo il suo direttore, Ruggero Giannelli. «…mi pare ancora di vederlo con quest’occhi il giovane ventenne che tornava dal mare, navigato alla ventura…». Che Salgari tornasse dal mare nel senso che intendeva Giannelli era falso ma erano esattamente le credenziali con cui si era presentato quel giovane che, in realtà, si era imbarcato una sola volta, tre anni prima e per tre mesi, come mozzo, pare, su un malandato bragozzo che faceva la spola tra Pellestrina e Brindisi, toccando le coste della Dalmazia. Quello che più interessava al direttore era comunque che quel marinaio, che millantava addirittura di essere capitano di gran cabotaggio, si fosse presentato con un romanzo che segnava una svolta rispetto a quelli che fino ad allora aveva ospitato sulle appendici del suo giornale. Una svolta che sarebbe stata salutare se fosse servita a sollevare le sorti di un foglio di nascita recente ma già agonizzante sotto il peso dei debiti.

Il romanzo, ambientato in Cocincina, raccontava, sullo sfondo della guerra che stava infiammando la regione del delta del Mekong, la storia d’amore tra Tay-See, la «giovanetta più bella e gentile della vallata del Dong-Giang» e l’ufficiale dell’esercito spagnolo Josè Blancos. Una scelta temeraria quella di pubblicarlo, in quanto la storia che raccontava era violentemente anticolonialista, in controtendenza rispetto all’opinione dei giornali crispini, come la Nuova Arena, che sostenevano la politica delle colonie. Dopo Tay-See Salgari pubblica a puntate sulla Nuova Arena altri due romanzi, La Tigre della Malesia e La Favorita del Mahdi .

L’Ammiragliador ed Emilius erano la stessa persona, ossia «il giovane che tornava dal mare». Ma se il primo si occupava dei teatri internazionali, il secondo si dedicava ai più frivoli teatri cittadini recensendo opere liriche nella rubrica intitolata «Sulle scene».

Quando Salgari dalla Nuova Arena passa all’Arena ha tutt’altre mansioni. Non più romanzi d’appendice, non più commenti di politica estera, non più recensioni teatrali salvo quando a recitare è Ida, la donna che avrebbe sposato e che per il resto della vita avrebbe chiamato Aida, come l’eroina verdiana. Era stato assunto per fare il redattore, per lavorare nella cucina del giornale incollato a una sedia e a una scrivania.

Gli articoli che pubblica sull’Arena, a differenza di quelli della Nuova Arena, tradiscono uno stile più vicino a quello del romanziere, hanno un respiro diverso, a volte decisamente esotico, cedono a debolezze automitobiografiche che gli servono da pretesto per corroborare l’usurpata fama di capitano marittimo e di viaggiatore, gli offrono il destro per sciorinare le sue conoscenze di mondi remoti che spaccia per acquisite sul campo mentre si sa (noi lo sappiamo, non i suoi lettori di allora) che erano frutto delle sue assidue incursioni alla biblioteca civica e delle sue abbuffate di giornali di viaggi.

Le uniche due volte che Salgari firma per esteso sull’Arena è per difendere le sue bugie marinaresche dalle insinuazioni di un collega, Giuseppe Biasioli, del giornale L’Adige, che da un po’ di tempo lo sbertucciava, non credendo (giustamente, diciamo noi, pur tifando per il bugiardo) alla frottola dei galloni di capitano.

Valente spadaccino, fino a quel momento Salgari aveva però dato prova del suo valore solo sulla pedana di una palestra. Il 25 settembre 1885 per la prima volta impugna la sciabola per vedere il sangue del suo avversario. Appena il tempo di incrociare i ferri che al primo assalto colpisce il Biasioli con un «mulinello di testa» alla regione temporale sinistra dopo avergli scalfito il naso. Ingiustizia è fatta. Ma, d’altra parte, i duelli sono stati inventati per difendere l’onorabilità della bugia.

Di tanto in tanto lascia la cucina del giornale per seguire eventi contigui ai suoi interessi e alle sue competenze, a maggior ragione se affini alle sue smanie esotiche. Il boccone più ghiotto del Salgari giornalista è Buffalo Bill che si esibisce all’Arena di Verona col suo circo di indiani e cow-boy il 15 e il 16 aprile 1890. Il colonnello Cody non poteva trovare un recensore più competente ed entusiasta di uno che, come Salgari, aveva letto Fenimore Cooper e Mayne-Reid, più molti altri libri sul mondo delle praterie del grande Ovest. Nei tre lunghi articoli dedicati all’evento Salgari non se la sente di dire di essere stato anche nel selvaggio Ovest ma dimostra comunque di essere informatissimo. E quando in Arena viene rappresentato l’assalto alla storica corriera di Deadwood, tirata da sei muli del Texas, si offre come passeggero volontario assieme al collega Corridori.

L’Arena del 9 agosto 1887 esce con la notizia del suicidio di Giacomo Bove. «Eravamo già in macchina quando ci giunse la dolorosa notizia che il capitano Giacomo Bove, l’esploratore illustre del Polo Artico, ed ora Direttore della Navigazione Italiana a Genova, si è suicidato con un colpo di rivoltella nei pressi di Porto San Pancrazio». Salgari scrive che era affetto da una «nevrosi incurabile». E ci consegna un’immagine incisiva del luogo della tragedia: «Un cappello bianco era appeso al gelso stesso sotto cui si suicidò». Il Salgari giornalista e il Salgari romanziere resteranno sempre parenti stretti anche quando il primo abbandonerà il lavoro di redazione, per recarsi a Torino, allettato dalla prospettiva di dedicarsi unicamente alla cova dei suoi eroi. Alcuni libri del "capitano" prenderanno infatti le mosse da avvenimenti di politica estera come "Le stragi delle Filippine" del 1897), "Le stragi della China" del 1901, "L’eroina di Port Arthur" del 1904, "La capitana del Yucatan". "La Stella Polare e il suo viaggio avventuroso" è un vero e proprio instant book sulla spedizione all’Artico di Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi.

Insomma, il Salgari giornalista corre in soccorso del Salgari scrittore nel reperire le fonti e nell’accertarne il rigore e la credibilità.

In una lettera a Ida Peruzzi, la donna che avrebbe sposato il 30 gennaio 1892, Salgari include tra le tempeste della sua vita anche gli anni in cui ha lavorato come giornalista. «Tutte le follie di cui un uomo è capace io le ho provate: nato in una notte di tempesta, vissuto fra le tempeste degli oceani ove l’anima diventa selvaggia, e le tempeste del giornalismo ove ogni pazzia diventa dovere, la mia vita doveva essere tempestosa per necessità…».

Mentiva sui suoi viaggi attraverso gli oceani, forse mentiva sulle pene che gli avrebbero procurato i lunghi giorni al chiuso di una redazione di giornale o perlomeno ne esagerava la gravità. Su di una cosa non mentiva: sulla disperata inquietudine della sua anima selvaggia, incapace di adattarsi a un’esistenza che bandiva i sogni - questi sì vere follie - che poteva però surrogare creando fantasmi superlativi.

Silvino Gonzato

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