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IL CASO

«Qui i bimbi islamici
vogliono cantare
nel coro del Natale»

La stella in piazza Bra
La stella in piazza Bra
La stella in piazza Bra
La stella in piazza Bra

Rinunciare a festeggiare il Natale a scuola per non creare imbarazzi tra i bambini stranieri? Ai dirigenti scolastici delle scuole primarie scaligere sembra un’idea assurda e malsana che, invece di remare a favore dell'integrazione, rischia piuttosto di annullare quelle identità indispensabili al buon dialogo.

La scelta del preside dell'Istituto Garofani di Rozzano, Marco Parma, di abolire, oltre al crocifisso nelle classi, anche il Natale a scuola per non creare disagi e imbarazzi tra i bambini di altre religioni e culture dopo i tragici fatti di Parigi, è bocciata all'unisono dai colleghi scaligeri. Se il preside dell’istituto lombardo ha deciso di trasformare il concerto natalizio in un concerto d’inverno, decisamente più laico, da mettere in scena il 21 gennaio con canzoni di Sergio Endrigo e filastrocche di Gianni Rodari, Domenico Bongiovanni, dirigente dell’istituto comprensivo 10 di Borgo Roma, che conta il più alto numero di studenti stranieri di tutta la provincia, rivela che sempre più genitori chiedono che i figli, musulmani o di altre religioni, possano prendere parte ai festeggiamenti e inserirsi in cori e in orchestre.

«Abbiamo sempre fatto concerti e presepi per il Natale e continueremo a farlo: siamo orgogliosi anzi di valutare che i nostri cori stanno diventando sempre più multietnici», dice. «L’esperienza ci dice che il buon dialogo riesce tra persone che hanno un’identità. I presepi, come pure i crocifissi, non obbligano nessuno a credere in una determinata religione, sono simboli». E aggiunge: «Dopo gli attentati di Parigi, qualsiasi privazione alla religione diventa ancora più grave. Per gli islamici fondamentalisti lo stato laico è persino più nemico delle altre religioni e quindi sbaglia chi crede che, abolendo le nostre tradizioni religiose, i terroristi possano diventare più indulgenti». Conclude Bongiovanni: «Nessuno finora ci ha mai chiesto di rinunciare alle nostre festività o di celebrarne altre di culture diverse. Se dovesse accadere ne discuteremmo in consiglio d'istituto per valutare insieme come comportarci».

La scelta del dirigente di Rozzano, per il coordinatore del collegio dei dirigenti del primo ciclo scolastico, Marco Squarzoni, è incomprensibile anche perché non condivisa. «Mi sembra una decisione estrema e non capisco da cosa possa essere stata dettata», spiega. «Non riesco a immaginare una necessità tale da motivare una decisione così forte. E nemmeno mi capacito che un singolo preside possa decidere per l'istituto senza coinvolgere organi collegiali e comitati di genitori».

Anche per Laura Donà, dirigente tecnico all’Ufficio Scolastico del Veneto la scelta milanese andrebbe approfondita. «Non so se ci siano disagi che la impongano, ma di certo, a Verona, dove ci sono studenti stranieri da sempre si ha un’estrema attenzione ad avere un approccio inclusivo che tenga conto della diversità, compatibilmente con la nostra identità. La scuola statale non ha credo religioso, per statuto costituzionale, ma ciò non significa che si debba accantonare le proprie tradizioni e culture».

Conclude Sara Agostini, dirigente dell’istituto comprensivo di Borgo Venezia: «L’intercultura non si fa così. Quella del preside Parma rischia di diventare una discriminazione all’incontrario perché il rispetto deve esserci per tutti, noi compresi».

Chiara Bazzanella

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