<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

«Quattro imputati e una sola impronta»

La Corte d’Assise presieduta da Marzio Bruno Guidorizzi. La sentenza per l’omicidio Armando sarà in novembre FOTOSERVIZIO DIENNECristina Montanaro (al centro). A destra l’avvocato Carmela ParzialeCesare Dal Maso (difesa Katia Montanaro) durante l’arringa
La Corte d’Assise presieduta da Marzio Bruno Guidorizzi. La sentenza per l’omicidio Armando sarà in novembre FOTOSERVIZIO DIENNECristina Montanaro (al centro). A destra l’avvocato Carmela ParzialeCesare Dal Maso (difesa Katia Montanaro) durante l’arringa
La Corte d’Assise presieduta da Marzio Bruno Guidorizzi. La sentenza per l’omicidio Armando sarà in novembre FOTOSERVIZIO DIENNECristina Montanaro (al centro). A destra l’avvocato Carmela ParzialeCesare Dal Maso (difesa Katia Montanaro) durante l’arringa
La Corte d’Assise presieduta da Marzio Bruno Guidorizzi. La sentenza per l’omicidio Armando sarà in novembre FOTOSERVIZIO DIENNECristina Montanaro (al centro). A destra l’avvocato Carmela ParzialeCesare Dal Maso (difesa Katia Montanaro) durante l’arringa

Un cold case. E la Corte d’Assise deciderà il 24 novembre se la morte di Maria Armando resterà con un solo responsabile, Alessandra Cusin, o se l’indagine riaperta dal pm Giulia Labia sarà seguita dalla condanna delle quattro persone ritenute, in concorso, autrici di un delitto dalle modalità agghiaccianti. Perchè il 23 febbraio 1994 nella sua casa a Praissola di San Bonifacio la vittima venne accoltellata più di venti volte alla schiena, alla gola al torace, poi fu trascinata in camera da letto e lì chi la uccise le inferse l’ultima umiliazione. L’ultimo sfregio, un bastone nelle parti intime.

Quattro imputati, tra i quali le due figlie della vittima, Katia e Cristina Montanaro: la prima all’epoca non era maggiorenne, la seconda di qualche anno più vecchia, era andata a vivere a Milano da alcuni mesi. In una comunità di punk-a-bestia. Loro e poi l’ex fidanzato di Cristina (Salvador Versaci) e un’amica, Marika Cozzula. Per loro il pm ha chiesto la condanna al carcere a vita e una dopo l’altra le difese hanno sottolineato, ribadito e rimarcato la assoluta inattendibilità dell’unica accusatrice. Di Alessandra Cusin condannata per il medesimo omicidio e attualmente l’unica che sta scontando l’ergastolo.

L’IMPRONTA. «Una sola impronta riferibile ad una sola persona: se riuscirete a superare questo scoglio per condannare quattro persone sarà interessante capire come avete fatto». Davide Dal Maso che insieme al collega Riccardo Todesco assiste Katia, ha parlato per ultimo, preceduto da Marcello Manzato (che con Giulia Tebaldi difende la Cozzula) e da Carmela Parziale, legale di Cristina. Marika, tirata in ballo dalla Cusin e descritta, nella prima di tre versioni, come colei che colpì con un pugno Maria Armando, poi esce di scena: «Non conosceva nessuno, non aveva rapporti con la vittima, non aveva alcun motivo per essere in quel posto», ha ribadito il difensore.

«Un processo aggiustato», ha rimarcato Dal Maso, «nel quale abbiamo dovuto supplire a carenze investigative ma nel quale c’è un dato unico e importante: quattro persone non lasciano una sola impronta. Il pm ha sottolineato ”cucinano, uccidono, prendono il videoregistratore, puliscono e se ne vanno a Milano”, sempre al plurale. Ma motivare e superare lo scoglio di una sola impronta è impossibile: quattro, tre, due persone si sono passate il coltello per colpire e c’è solo un tipo di scarpa». L’impronta di una calzatura numero 40.

LE STREGHE DI EASTWICK. Tutto si fonda sulle confidenze fatte dalla Cusin al suo ex fidanzato. È stata la difesa della Cozzula a produrre l’intervista che la Cusin rilasciò ad un quotidiano pochi giorni prima di essere arrestata. «Disse che a rivelare i particolari dell’omicidio fu Katia la sera dell’8 marzo 1995 (quando vivevano insieme nella casa della vittima, ndr) dopo aver bevuto. Prima dice un bicchiere di fragolino poi due bottiglie», ha sottolineato l’avvocato Parziale. «Una confidenza fatta mentre stavano guardando ”le streghe di Eastwick” in televisione: nessun canale all’epoca lo mandò in onda quel giorno». Un’altra picconata alla credibilità dell’unica persona in carcere. Che, come hanno ribadito tutti i difensori, «accusa gli altri per difendere se stessa».

«Nel 2011 Cusin si contraddice più volte, includendo o escludendo volta per volta Cristina Montanaro», ha proseguito. «Ma il giorno del delitto Cristina e Salvador erano al cinema Odeon a Milano alle 20, la maschera li ha riconosciuti, non potevano acquistare i biglietti (il loro alibi, ndr) due giorni prima dello spettacolo perchè all’epoca non esisteva prevendita». E uno dopo l’altro ha riassunto i punti non chiariti dall’indagine dell’epoca e rimasti «aperti» a vent’anni di distanza: l’orario della morte di Maria Armando, i testimoni e le diverse versioni, la circostanza che all’epoca Cristina non conoscesse Marika e la Cusin. E l’assenza di movente: «Vogliamo sostenere che era l’eredità di un bene gravato da un mutuo per due terzi già loro? Non regge». Sentenza in novembre,

Fabiana Marcolini

Suggerimenti