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«Quando aiuti non vorresti più tornare»

Le unità cinofile della Protezione Civile alpina
Le unità cinofile della Protezione Civile alpina
Le unità cinofile della Protezione Civile alpina
Le unità cinofile della Protezione Civile alpina

«Non dimenticherò mai le persone con addosso solo un pigiama, tutte sporche di calcinacci, che vagavano spaesate: sembravano fantasmi». Sono passati otto anni dal terribile terremoto de L’Aquila. Ma quello che hanno visto i volontari veronesi della Protezione civile alpina, come Filippo Bosco, è ancora vivido nella loro memoria. «Siamo rimasti per un anno sui luoghi del sisma, dandoci il cambio ogni settimana. Ma dopo che vedi certe cose, fai davvero fatica a tornare a casa». E non solo perché i volontari ritornano, ma là l’emergenza continua.

«Ad Amatrice ho camminato sui tetti crollati di case che fino a poco prima erano alte tre piani. Poi ti accorgi che stai calpestando effetti personali, bambole e peluche. E pensi a quanto poco ci voglia a cancellare una famiglia, magari come la tua», aggiunge Enea Dalla Valentina. Lui è il capo della squadra macerie di superficie, uno dei primi ad arrivare con il suo cane Trilli, nel nord del Lazio, poche ore dopo le scosse della notte del 24 agosto del 2016. «Alle 16 siamo entrati nella zona rossa con tre unità cinofile, per operare proprio sotto il campanile, simbolo di quel terremoto. In due giorni gli animali hanno segnalato diverse persone sotto le macerie e i vigili del fuoco correvano a scavare. Cosa si prova? La gioia per la speranza che qualcuno possa salvarsi, anche se non sempre chi viene estratto dalle macerie in quelle condizioni ce la fa».

Ce l’ha fatta, invece, un bimbo che l’estate scorsa era a Peschiera a fare il bagno. Chissà cosa sarebbe accaduto se Irene Marchi, che perlustrava il litorale come rappresentante del Nucleo Salvamento, non lo avesse visto i difficoltà: entrata in azione con il suo cane Coffee l’ha subito riportato a riva, evitando il peggio.

Per Luca Brandiele, responsabile della Protezione civile alpina veronese, ricordo indelebile resterà l’alluvione dell’Est veronese del 2010. E non solo perché era là come operatore. «Io sono di Monteforte e vedere gente che conosci con la casa distrutta, mobilio e automobile sott’acqua, in pratica tutto quello che hanno, non è facile. Cerchi di restare lucido, ma a volte ti senti impotente. Provi ad aiutare, ma a volte la gente reagisce male e c’è da capirla, perché è esasperata: l’acqua è rimasta quattro giorni, ma ci sono voluti sei mesi di lavoro per ripristinare del tutto alcune abitazioni».

A proposito di solidarietà, oggi il presidente Luciano Bertagnoli consegnerà al vice presidente vicario nazionale Ana Giorgio Sonzogni l'assegno da 168.500 euro frutto della raccolta fondi realizzata dai gruppi veronesi e dalle varie associazioni di volontariato locale in favore delle aree del Centro Italia colpite dal terremoto dello scorso anno. Il ricavato del «pandoro della solidarietà», in vendita in Bra, servirà invece a restaurare la cappella alpina sul Monte Ortigara. E.PAS.

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