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Profughi accolti con diffidenza ora fanno i camerieri alla sagra

Nella foto di archivio, profughi al lavoro per sistemare i giardini di una villa
Nella foto di archivio, profughi al lavoro per sistemare i giardini di una villa
Nella foto di archivio, profughi al lavoro per sistemare i giardini di una villa
Nella foto di archivio, profughi al lavoro per sistemare i giardini di una villa

A piccoli passi verso l’integrazione. Erano arrivati, alle porte dell’estate, nella scuola elementare in disuso di Piovezzano, frazione di Pastrengo. Alloggiati in quel luogo a loro sconosciuto, come uno dei tanti gruppi di profughi che la Prefettura sistema in giro per la provincia. Ma contro la quindicina di ragazzi – del Burkina Faso, del Mali, della Nigeria – si era levata la protesta del paese. O almeno di una parte.

Le paure, sempre le stesse: «Ciondoleranno tutto il giorno senza far niente». «Occuperanno l’edificio a tempo indeterminato». Addirittura, «commetteranno reati».

Fino a stasera, proprio nel giardino dell’ex scuola, chi parteciperà alla sagra di Piovezzano potrà vederli: alcuni richiedenti asilo sono all’opera fra i tavoli, camerieri-volontari, per raccogliere piatti e bicchieri vuoti, gettare le cartacce, pulire. Lo avevano fatto anche nella festa estiva di Pastrengo. Su di loro, gli sguardi degli abitanti si posano con minore ostilità.

Non è una favola con un facile lieto fine, sia chiaro. È l’arduo, per niente scontato, incontro tra la popolazione locale e il gruppetto di africani finito ad abitare lì. Una vicenda come ne stanno accadendo altre. Ma pure migliore di tante altre.

Luis Allega, presidente della cooperativa di lavoro Milonga, che attualmente gestisce una settantina di richiedenti asilo, una cinquantina nell’ex foresteria militare della Nato in via Caroto, sulle Torricelle e un’altra ventina in due appartamenti in Borgo Roma, spiega: «Quando, quattro mesi fa, abbiamo iniziato a occuparci di quel gruppo di richiedenti asilo, siamo intervenuti come è nostra consuetudine: preparando i ragazzi all’inserimento lavorativo e sociale. Dei quindici, due hanno già trovato occupazione nella manutenzione del verde e, appena otterranno i documenti, cercheranno casa; uno è in procinto di lavorare; due stanno seguendo un corso di cucina. Gli altri, intanto, studiano la lingua italiana e le regole della sicurezza sul lavoro».

Allega, che con quei giovani condivide l’esperienza della migrazione – lasciò la nativa Argentina dopo essere finito nel mirino della dittatura militare negli anni Settanta – ammette: «Non è facile. Trovare un impiego oggi è un’impresa per gli italiani, figuriamoci per i profughi. E poi non sto qui a dire che siano tutti santi. C’è chi è molto volonteroso e impaziente di rendersi utile, e chi al contrario ha poca voglia di lavorare. Ma opponendo loro solo il rifiuto non si risolve niente».

E aggiunge: «Abbiamo cercato di limitare i motivi di attrito. Il gruppo, alloggiato a 50 metri dalla chiesa del paese, è formato da soli cristiani. Non vogliamo che si crei un ghetto. E dall’iniziale contrarietà e diffidenza da parte dei residenti, mi sembra che ora inizi a instaurarsi un rapporto. L’idea di coinvolgere i profughi nel servizio alla sagra, d’accordo con il sindaco, la parrocchia e l’associazione Noi, si è rivelata molto positiva. Ne è seguita l’organizzazione della seconda festa nell’ex scuola che ospita il gruppo».

Marco Caliari, presidente del Noi di Piovezzano, commenta: «Siamo contenti della collaborazione, anche se si tratta solo di pochi giorni. I quattro-cinque ragazzi che ci danno una mano sono bravi e volonterosi. Ma gli altri dove sono? Questo non lo sappiamo. È fondamentale che i profughi abbiano attività da svolgere».

Solo l’inizio di un percorso, appunto. Nessuno si illude che portare vassoi, spostare e pulire i tavoli della sagra sia sufficiente. Ma è un primo passo nella direzione giusta.

Lorenza Costantino

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