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Job&Orienta

Professione maker
Tecnologia
e vecchi mestieri

Toccare con mano. Ragazze in coda per rifarsi le unghie
Toccare con mano. Ragazze in coda per rifarsi le unghie
Toccare con mano. Ragazze in coda per rifarsi le unghie
Toccare con mano. Ragazze in coda per rifarsi le unghie

Professione maker. C’è una nuova frontiera del lavoro che, purtroppo, oggi trova poco o nessuno spazio nei programmi didattici delle scuole e delle università. È l’artigianato digitale: la fusione tra i mestieri del passato e le tecnologie all’avanguardia. Ma ha trovato ampio spazio al Job&Orienta.

I pionieri di questa rivoluzione, quasi «evangelizzatori» in un’Italia piuttosto riluttante al cambiamento, vengono chiamati «maker». Un termine, come ammettono loro stessi, «che identifica genericamente “chi crea”, lavorando con la testa, le mani, e appoggiandosi al vasto mondo del digitale per migliorare i processi produttivi».

E così: a fianco degli agricoltori arrivano i droni in grado di valutare automaticamente lo stato di salute delle coltivazioni; i falegnami possono rendere intelligenti i mobili costruiti; i conservatori di beni monumentali riproducono in pvc opere artistiche grazie alle stampanti 3D. Le possibilità sono infinite e, ieri mattina, alcune esperienze di giovani maker sono state raccontate nello stand del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la «Casa del welfare».

L’iniziativa è inserita in «Make your job» di Italia Lavoro: il progetto di comunicazione sull’autoimprenditorialità e sulla capacità di trasformare un’idea in un mestiere. Sempre finanziato dal ministero del Lavoro e realizzato da Italia Lavoro, partirà a breve il nuovo programma «Botteghe di mestiere e dell’innovazione», un’iniziativa che mira a formare giovani in azienda per far loro imparare (e attraverso di loro innovare) una professione nell’ambito di un comparto produttivo proprio della tradizione italiana: enogastronomia, calzaturiero, moda, costruzioni in legno.

LE STORIE. Paolo Mirabelli di Cosenza, fondatore di Dronilab, è un «artigiano digitale» nel senso più ampio del termine. Robotica, stampanti 3D, e soprattutto droni sono il suo pane quotidiano. «I droni», spiega Mirabelli, «possono divenire utili in moltissimi campi. Prendiamo l’agricoltura. Facendo volare un drone sopra una coltivazione, e guardando comodamente le immagini in un monitor, posso capire con una sola occhiata se le piante stanno bene, se soffrono la siccità, se c’è un’infestazione di parassiti, quanto manca al raccolto. Questo grazie a lenti speciali che valutano la rifrazione della clorofilla».

«L’Italia? È ancora molto indietro in questo campo», osserva amaro. «La mia azienda lavora soprattutto all’estero». In più c’è un problema di accesso alle competenze, perché le scuole italiane non generano maker. Per questo si sta sviluppando un sottobosco autonomo di «fablab», laboratori dell’artigianato digitale, come quello coordinato a Parma da Pietro Dioni: «I nostri strumenti di lavoro sono la stampante 3D e lo scanner da rilevazione: con questi creiamo oggetti reali da immagini digitali e viceversa. Un artigiano potrebbe velocemente trasformare un’idea in un prototipo. È quello che insegniamo agli studenti che vengono da noi per i progetti di alternanza scuola-lavoro».

Giulio Bigliardi di 3D Archeolab è un archeologo. «Sono partito con un progetto di riproduzioni di opere museali per non vedenti; ora sto lavorando nel settore del rilievo 3D, creando gallerie museali virtuali sul sito 3d-virtualmuseum.it».

Lorenza Costantino

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