<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Omicidio Perantoni, il Riesame
«Indizi gravi e concordanti»

Settembre 2015: gli investigatori sul luogo del delitto
Settembre 2015: gli investigatori sul luogo del delitto
Settembre 2015: gli investigatori sul luogo del delitto
Settembre 2015: gli investigatori sul luogo del delitto

Un quadro indiziario «grave, preciso e concordante» sta alla base della decisione del Tribunale del Riesame di Venezia, che nelle scorse settimane ha confermato la custodia cautelare in carcere per Fabio Terraciano, fabbro quarantatreenne di Lazise. L’uomo, difeso dagli avvocati Massimo Dal Ben e Giovanni Chincarini, è accusato di aver ucciso Romano Perantoni il 12 settembre a Pastrengo con almeno sei colpi di arma da taglio.

I giudici di Venezia hanno respinto le richieste dei difensori, sottolineando il «concreto e spiccato pericolo di recidiva specifica, nonché di fuga» di Terraciano. Timori che troverebbero riscontro, secondo il Riesame, proprio nelle parole dell’indagato, che era solito parlare da solo in auto. «I sa tutto», rifletteva tra sé e sé, non sapendo di essere intercettato, riferendosi evidentemente agli inquirenti. «Io scappo». E ancora, in «altre intercettazioni ambientali dei giorni seguenti, sempre mentre parla da solo in macchina e si riferisce più volte minacciosamente e offensivamente all’amica che ha smentito il suo alibi, frasi del tipo “sistemo anche te“». Parole lette come una sorta di confessione involontaria.

I giudici di Venezia, inoltre, parlano di «efferatezza del crimine», di «motivazioni economiche e futili», legate alla droga, e di «pervicacia nel tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità, fabbricandosi alibi falsi».

Il movente del delitto, secondo gli inquirenti, sarebbe da ricondurre a un debito di tremila euro, di cui Perantoni pretendeva l’immediato pagamento, per alcune cessioni di droga. È fatto certo, infatti, che i due si conoscessero per questioni legate allo spaccio di cocaina.

Nel ricorso, però, la difesa contesta la ricostruzione degli spostamenti della vittima nel giorno dell’omicidio, e in particolare l’ora in cui sarebbe avvenuta la morte di Perantoni, che non sarebbe stata compatibile con la presenza, a Pastrengo, del fabbro quarantatreenne. Una tesi non condivisa dal Riesame, secondo cui l’omicidio sarebbe avvenuto tra le 19,30 e le 22, e non verso le 18 come sostenuto dalla difesa.

A sfavore di Terraciano giocano poi gli alibi fasulli forniti dall’uomo, la cui utenza cellulare ha agganciato la cella di via Rovereto 42 a Pastrengo alle 20,31 del 12 settembre. Il fabbro, sentito dagli inquirenti, aveva prima detto di essere in compagnia di un amico e poi, dopo essere stato smentito, aveva chiamato in causa un’altra amica, che a sua volta ha negato di essere stata con lui nell’arco temporale in cui è stato consumato il delitto. I giudici di Venezia sottolineano, infatti, «l’assenza di un alibi riscontrato, dopo l’accertamento della falsità di quello accampato inizialmente dall’indagato».

Né sarebbero condivisibili, secondo il Riesame, le contestazioni della difesa sul movente dell’omicidio, ovvero che la morte di Perantoni avrebbe pregiudicato la possibilità per Terraciano di reperire ancora in futuro cocaina. «Tale pericolo si era già concretamente profilato, atteso che quest’ultimo aveva minacciato Terraciano di non consegnargli più dosi di cocaina, se prima non avesse saldato le pregresse cessioni».

Per tutte queste ragioni, dunque, il Riesame ha confermato la custodia cautelare in carcere, come da ordinanza del gip Livia Magri, ritenendo misure meno afflittive non adeguate, in quanto avrebbero lasciato al quarantatreenne margini di movimento troppo ampi e incontrollati.

Manuela Trevisani

Suggerimenti