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PASTRENGO

Omicidio Perantoni,
finisce in carcere
un uomo di 43 anni

L’abitazione di Pastrengo dove era stato assassinato Romano Perantoni. L’uomo era stato raggiunto da colpi  alla testa e al collo
L’abitazione di Pastrengo dove era stato assassinato Romano Perantoni. L’uomo era stato raggiunto da colpi alla testa e al collo
L’abitazione di Pastrengo dove era stato assassinato Romano Perantoni. L’uomo era stato raggiunto da colpi  alla testa e al collo
L’abitazione di Pastrengo dove era stato assassinato Romano Perantoni. L’uomo era stato raggiunto da colpi alla testa e al collo

Sono andati a prenderlo a casa l’altra notte alle tre. Ma, forse, sapeva già di essere il sospettato numero uno. F.T. è stato prelevato dalla sua abitazione di Lazise e portato in carcere a Montorio. È accusato dell’omicidio di Romano Perantoni, 60 anni, detto «Mano», il pregiudicato sessantenne ammazzato lo scorso 12 settembre in un residence a Pastrengo con dei colpi alla testa e al collo.

L’uomo sottoposto al fermo ha 43 anni e vive a otto minuti di auto dall’abitazione, nella frazione di Piovezzano, dove Perantoni è stato colpito alle spalle e ucciso da qualcuno che, con ogni probabilità, conosceva molto bene. Le indagini coordinate dal sostituto procuratore Nicola Scalabrini si sono concentrate su di lui dopo l’esame delle celle telefoniche e le informazioni raccolte nel mondo che gravitava attorno a «Mano». Che aveva avuto diversi precedenti per droga e che al momento del suo omicidio era ancora obbligato a presentarsi in caserma dai carabinieri tre volte alla settimana. Perantoni e F.T. si conoscevano, e già alla fine della scorsa settimana il presunto omicida era stato sentito dagli investigatori. Il sospettato, difeso dall’avvocato Giovanni Chincarini, anche dopo il fermo si è dichiarato «totalmente estraneo» alle accuse: oggi, o più probabilmente domani, il gip dovrà decidere se convalidare o meno il suo fermo.

Chi conosceva Romano Perantoni era convinto che stesse cercando di costruirsi una nuova vita. E che, dopo diverse condanne e una decina di anni passati in carcere, era deciso a dimostrare la propria innocenza per la nuova accusa di spaccio di cocaina seguita a un arresto dei carabinieri dell’aprile 2014. Il «Mano» era uno che nella sua vita non aveva mai «parlato», ma questa volta sembrava sul punto di farlo, perché determinato a far capire ai giudici che in quella vicenda non c’entrava davvero nulla. Il suo omicidio era sembrato un vero rompicapo. Il corpo senza vita di Perantoni era stato ritrovato dai carabinieri il martedì pomeriggio, dopo l’allarme lanciato da un caldaista che per due volte aveva suonato a vuoto il suo campanello. Ma la morte risaliva con ogni probabilità al sabato sera. Quel giorno Romano era andato a vendemmiare nei campi del fratello e, come faceva ogni giorno, era tornato in bicicletta (non aveva la patente) nella sua abitazione di via Papa Luciani. Nel percorso verso casa, poco prima delle 18, si era fermato in una pizzeria della zona, ordinando una pizza e chiedendo che gli venisse portata a domicilio. Ma quando il pony express aveva suonato, non aveva avuto risposta. Il sessantenne, è emerso nel corso delle indagini, era stato ammazzato quella sera, da qualcuno che conosceva e che aveva fatto entrare in casa. E al quale aveva dato le spalle. Le armi del delitto (un martello e una forbice?) non erano mai state ritrovate e nessuno fra i vicini sembrava aver visto nulla.

Ma a novanta giorni dai fatti ecco la clamorosa svolta nelle indagini. Ora toccherà a F.T. persuadere il giudice che non c’entra nulla con quell’omicidio.

Riccardo Verzè

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