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LA STORIA

«Noi Roncalli, nipoti del Papa, un tempo signori di Montorio»

«Il feudo nostro dal Seicento all'Ottocento. Nello stemma di Giovanni XXIII c'è la torre del castello, quando fu nominato cardinale chiese alla famiglia se poteva metterla»
Un momento dello spettacolo dei fratelli Roncalli a San Fermo: sullo schermo il castello di Montorio
Un momento dello spettacolo dei fratelli Roncalli a San Fermo: sullo schermo il castello di Montorio
Un momento dello spettacolo dei fratelli Roncalli a San Fermo: sullo schermo il castello di Montorio
Un momento dello spettacolo dei fratelli Roncalli a San Fermo: sullo schermo il castello di Montorio

Nello stemma di Papa Giovanni XXIII svetta la torre del castello di Montorio. La famiglia bergamasca di Papa Angelo Roncalli, il «Papa buono» diventato santo il 27 aprile assieme a Papa Wojtyla, affonda le sue radici proprio nel borgo medievale di Montorio. Lo raccontano i discendenti Guido e Diego Roncalli Di Montorio, che per il Festival Biblico si sono esibiti a San Fermo nel recital per voce e violoncello «Roncalli legge Roncalli».
«Mio nonno Guido e Papa Giovanni XXIII, uniti da uno stretto rapporto perché entrambi erano diplomatici, appartenevano a due rami diversi della stessa famiglia», fa sapere Guido Roncalli, attore professionista, accompagnato nel recital dal fratello violoncellista Diego. «Noi siamo originari di Bergamo - il Papa era nato a Sotto il Monte - ma per due secoli, dal Seicento a fine Ottocento, siamo stati proprietari del feudo di Montorio, che includeva il castello: il nostro stemma, che Papa Giovanni XXIII ci aveva chiesto di utilizzare quando è diventato cardinale, raffigura proprio una torre del castello».
Guido Roncalli ricorda bene alcuni aneddoti che legano il nonno Guido e il padre Francesco al Papa buono: alcuni sono inseriti negli scritti inediti custoditi dell'archivio della famiglia e raccontati nel recital dei fratelli Roncalli, sulle note di Bach. «Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Sono le parole che tutti ricordano di Giovanni XXIII», spiega Guido. «Queste stesse parole le aveva inserite nel post scriptum di una lettera inviata nel 1948 da Parigi a mio nonno, in cui gli raccomandava di dare una carezza ai suoi bambini».
All'epoca in cui Roncalli era nunzio apostolico, spesso scriveva al lontano cugino Guido per uno scambio di pareri politici su varie vicende diplomatiche. E nel 1953, quando diventò cardinale e patriarca di Venezia, fu organizzato un grande ricevimento nella dimora bergamasca della famiglia. «Al termine della serata mio padre, che allora aveva 14 anni, chiese di poter accompagnare Angelo Roncalli alla sua auto: quando fu il momento di partire, però, l'allora cardinale si rese conto di aver perso la croce pettorale, una croce d'oro con alcune gemme incastonate, con cui spesso "giochicchiava" parlando», ricorda Guido Roncalli. «Provarono a cercarla, ma c'era troppo buio e così Angelo Roncalli disse a mio padre che, se l'avesse ritrovata, sarebbe stata sua». Il giorno successivo, con la luce, la croce spuntò fuori, ma la famiglia Roncalli decise di riconsegnarla al patriarca di Venezia. «Quindici anni dopo, quando mio padre si sposò, ricevette in dono da Papa Giovanni XXIII proprio quella croce: fu una grande sorpresa», ricorda Guido. «Era un periodo difficile. Il Pontefice stava combattendo contro il tumore, che di lì a poco lo portò alla morte, ed era nel pieno del Concilio Vaticano II, ma non si dimenticò di quella promessa fatta diversi anni prima a un ragazzino di 14 anni: un gesto di una dolcezza infinita, la dolcezza che lo ha contraddistinto per tutta la vita».

Manuela Trevisani

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