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cold case

«Mia figlia
non si è suicidata:
è stata uccisa»

Giovanna Tafuri Lupinacci
Giovanna Tafuri Lupinacci
Giovanna Tafuri Lupinacci
Giovanna Tafuri Lupinacci

«Mia figlia non si è suicidata. È stata uccisa». È quanto afferma la madre di Giovanna Tafuri Lupinacci, la donna originaria di San Pietro Vernotico, in Puglia, trovata morta il 9 settembre del 2011 in un canale nei pressi di San Martino Buon Albergo. Il corpo s’era fermato alle griglie. Caso archiviato come suicidio. La donna era depressa e in un caso aveva già tentato di uccidersi iniettandosi aria in vena ed era stata ricoverata in psichiatria.

Da cinque anni però mamma Antonietta non si rassegna. Per tre volte ha chiesto la riapertura delle indagini, senza esito. Si è rivolta anche all’associazione Penelope che la sta aiutando, ma nessun magistrato per ora ha deciso di riaprire il caso. Giovanna, aveva 44 anni, abitava in Borgo Roma, aveva un marito e un figlio. Lavorava come cameriera, anche nel locale che per un periodo aveva gestito il marito. Poi il locale aveva chiuso e lei non aveva più un lavoro.

«Ho sentito mia figlia il 26 agosto 2011, era felice perchè stava organizzando il compleanno del figlio per il 28 che cadeva giusto di domenica. Poi è sparita. Marito e figlio me lo hanno detto giorni dopo. Io l’avevo cercata domenica, e siccome non rispondeva avevo chiamato mio nipote che mi aveva detto che «la mamma era in chiesa, per questo non mi rispondeva», c’è poi un altro fatto strano. Mio genero ha denunciato la scomparsa della moglie due giorni dopo. Ha detto che era uscita per buttare le immondizie ed è sparita. Ma non si sono mai trovate la sua bici e il suo cellulare che però è rimasto attivo fino al novembre 2011 come mi ha confermato il gestore telefonico».

Snocciola sospetti, indizi, mamma Antonietta.

Giovanna era depressa, era in cura con psicofarmaci, aveva già tentato il suicidio nel febbraio 2010. Plausibile credere a un gesto estremo. Un atto che una madre difficilmente può accettare.

«Senta il 10 maggio 2013 io ho ricevuto una telefonata. La voce era di una donna. Mi ha detto «Antonietta, sei la mamma di Giovanna? Abbiamo sentito urlare, poi più niente. Tua figlia l’hanno trascinata per i piedi e caricata in macchina». Una telefonata anonima. Altre volte ne avevo ricevute di mute e lo avevo detto anche ai carabinieri di San Pietro, il mio paese, ma quella telefonata non risulta, come se non ci fosse stata. Io non ho ancora chiaro se l’autopsia sia stata fatta o no».

Nei verbali dell’epoca risulta che il cadavere venne trovato in stato di saponificazione, considerata la lunga permanenza in acqua, aveva qualche lesione agli arti inferiori dovute a sassi e rami in acqua che avevano parzialmente strappato i pantaloni. La donna era vestita. Non aveva lasciato messaggi di addio.

«Abbiamo tentato più volte di far riaprire il caso», spiega l’avvocato Alessandro Paladini, «ma non è stato possibile perchè la salma di Giovanna era stata cremata. La procura ci aveva risposto che pur sussistendo eventuali presupposti per la riapertura del caso, mancando il corpo non era possibile». L’avvocato conferma che sul cadavere della Lupinacci non era stata disposta l’autopsia, venne fatta «soltanto» l’ispezione cadaverica che non evidenziò tracce di morte violenta. L’avvocato conferma anche l’analisi dei tabulati telefonici di Antonietta: «Di quella telefonata anonima non c’era traccia. Il gestore telefonico ci spiegò che se vengono inseriti numeri prima di quello da comporre può non restare traccia nei tabulati». Se così fosse chi ha fatto la telefonata anonima è una persona pratica di questi sistemi. E renderebbe il giallo ancora più interessante.

«Vorrei tanto che chi sa si mettesse la mano sul cuore e andasse a denunciare. Mia figlia non si è suicidata», conclude la signora Antonietta.

Alessandra Vaccari

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