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Infortunio, da vent’anni
aspetta giustizia

Quasi vent’anni. L’infortunio in una ditta di Sommacampagna avvenne il 30 settembre 1998. E da allora Milos Stevanovic, che si infortunò sollevando manualmente una carriola pesante, entra ed esce dalle aule di tribunale per vedersi riconosciuto il riconoscimento, da parte dell’azienda, al risarcimento. Vent’anni, tra una causa e l’altra, e in novembre comparirà nuovamente davanti alla Corte d’Appello di Venezia: la Cassazione l’anno scorso annullò la sentenza di secondo grado (che negava il risarcimento per la malattia professionale) disponendo il rinvio alla Corte in differente composizione affinchè provvedesse «a rinnovare il giudizio emendandolo dai vizi rilevati» poichè «la movimentazione manuale dei carichi costituiva un fattore di rischio e il datore di lavoro aveva specifici obblighi di informazione dei lavoratori. La Corte di merito non ha soffermato la analisi sulla necessaria preliminare valutazione di tale adempimento».

La Cassazione ha stabilito inoltre che «in punto di nesso di causalità deve rilevarsi che il danno costituiva la concretizzazione del rischio specifico e che si produceva nel sollevamento della carriola».

E ancora: «La Corte di merito non avrebbe potuto limitarsi ad affermare il difetto di prova del nesso causale ma positivamente verificare l’esistenza di altri fattori». L’udienza davanti alla Sezione Lavoro era stata fissata il 7 febbraio 2019 (a 21 anni dall’incidente) ma i legali di Stevanovic (gli avvocati Bruno e Luigi De Paoli e Davide Tirozzi) hanno ottenuto l’anticipazione dell’udienza. Che sarà in novembre.

«Ero giovane, ho fatto in tempo a diventare nonno ma non ho mai mollato. Non mi lamento, ho trovato un altro lavoro ma quello che accadde e le sue conseguenze le porto con me», sorride. «Sono arrivato dalla Croazia per lavorare ed è quello che faccio da sempre, non ho tempo per piangermi addosso ma fu l’Inail a dire che l’ernia al disco non era stata causata dall’infortunio ma che si trattava di una malattia professionale».

L’istituto di previdenza gli riconobbe il 15% di invalidità e ottenne la pensione. Ma finora, sia in primo sia in secondo grado, non gli è stato riconosciuto il diritto al risarcimento.

In seguito all’incidente rimase in ospedale 140 giorni, 30 dei quali costantemente sotto terapia antidolorifica. Un calvario che raddoppiò una volta dimesso, quando fece causa all’azienda perchè il sindacato gli disse che alla luce della malattia professionale poteva ottenere un risarcimento per la minorazione delle capacità lavorativa.

Tra testimoni e udienze davanti al giudice del Lavoro si arrivò al 2006 quando ricevette una proposta di risarcimento, 5mila euro che rifiutò. Rifiutò anche il doppio: «Non si mercanteggia sulla salute», disse all’epoca. «Ho chiesto la somma che risultava dal conteggio effettuato dal perito in base alle tabelle dei tribunali del Triveneto. Non ho nessuna intenzione di speculare ma chiedevo soltanto il riconoscimento di un diritto».

In tribunale lui e i legali tornarono nel 2007, poi il 13 febbraio, l’11 aprile e il 23 maggio 2008. Dopo l’ennesimo rinvio il 18 giugno di 9 anni fa la sentenza: il suo ricorso era stato rigettato. Fece appello e il verdetto fu del medesimo tenore: il 30 giugno 2011 il risarcimento gli venne negato. Ora la Cassazione ha «rovesciato» tutto.F.M.

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