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«Flavio ha scelto la carega»

Il congresso
della Lega:
processo a Tosi

Da Re, Salvini, Zaia e Dozzo (Marchiori)Enzo Flego (applaudito il suo intervento) e Monica LavariniIl leader storico Umberto Bossi con Paolo Paternoster
Da Re, Salvini, Zaia e Dozzo (Marchiori)Enzo Flego (applaudito il suo intervento) e Monica LavariniIl leader storico Umberto Bossi con Paolo Paternoster
Da Re, Salvini, Zaia e Dozzo (Marchiori)Enzo Flego (applaudito il suo intervento) e Monica LavariniIl leader storico Umberto Bossi con Paolo Paternoster
Da Re, Salvini, Zaia e Dozzo (Marchiori)Enzo Flego (applaudito il suo intervento) e Monica LavariniIl leader storico Umberto Bossi con Paolo Paternoster

«Se penso a chi abbiamo perso, è stata una fortuna... Ma adesso basta con il passato». Matteo Salvini, intervenendo al congresso della Liga Veneta in Fiera scrive l’epitaffio sulla vicenda Tosi. Nell’auditorium di Veronafiere la Lega volta definitivamente pagina eleggendo, per acclamazione, nuovo segretario nazionale, cioè veneto, il trevigiano Giannantonio Da Re. Sindaco di Vittorio Veneto fino al 2014, in precedenza Da Re, che ha 62 anni, era stato consigliere regionale.

In questo congresso era il candidato unico e per lui hanno votato per alzata di mano i 705 delegati. Altri tempi rispetto all’ultimo congresso di Padova, dove Flavio Tosi la spuntò su Massimo Bitonci, ora sindaco-sceriffo di Padova, dopo un duello all’ultimo voto. Poi, come andò a finire, lo sanno tutti. La rottura fra Tosi e il segretario federale Salvini alla vigilia delle regionali, l’espulsione del sindaco scaligero dal Carroccio e la nascita di Fare!, nuovo partito tosiano con una piccola pattuglia di parlamentari.

Ad aprire il congresso della Liga Veneta è il commissario Giampaolo Dozzo, il traghettatore nella nuova era salviniana. «In quest’ultimo anno», assicura, «ho visto il vero cuore della Liga Veneta, mai così compatta e forte». Missione compiuta. Schersando, un delegato vicentino propone di mandarlo in Siria «per normalizzare la situazione anche lì».

Al «cuore del popolo veneto» si appella poi Giampaolo Gobbo, segretario veneto nell’era bossiana. E aggiunge: «Le avventure durano un soffio ma fanno tanto danno e il peggiore si chiama tradimento». Fra tutti i riferimenti al sindaco Tosi, le parole di Gobbo sono fra le più gentili. Più che un processo al suo ex «enfant prodige» quello che avviene in Fiera è un rito catartico. Un delegato di Camposampiero parla di «fine della cattività tosiana».

Prende la parola il segretario provinciale Paolo Paternoster: «Abbiamo chiesto di poter svolgere il congresso a Verona perché sapete tutti cosa è successo qui». E promette: «Riavremo la poltrona di sindaco con un candidato della Lega Nord, ma chi se ne è andato, e abbiamo buttato fuori 250 mele marce, non tornerà mai più, dovranno passare sui nostri cadaveri».

Nell’affollatissima sala colpisce il fatto che il verde non è più il colore dominante come un tempo. Umberto Bossi, presidente federale, non manda giù il fatto che sia stato archiviata la parola «Padania» dal simbolo. «È l’unica che ci può far vincere». La platea lo ascolta in un silenzio imbarazzato. «La nostra sfortuna è stata non avere un martire che provochi la rivoluzione e invece hanno sputtanato i nostri dirigenti, ma né io né i miei figli abbiamo rubato nulla». Quella del Senatur è l’unica voce fuori del coro: «Salvini sbaglia a cercare voti al Sud, non ce li daranno mai senza avere qualche regalo in cambio». Gli dà man forte Enzo Flego che mostra la tessera della Liga datata 1978. «Io sono di un partito veneto, non voglio che diventi italiano. Il mio confine è il Po» esclama.

«Gli italiani ci votano», è la replica di Salvini, «perché siamo la loro ultima possibilità ma oggi non dobbiamo sbagliare. Non c’è», sottolinea fra gli applausi, «una Lega locale e una nazionale. Mi chiamano da tutta Italia e quotidianamente mi sposto perché i problemi di Cagliari sono quello di Milano e e di Treviso. Aziende che chiudono e aprono in Romania, pensionati che faticano ad arrivare a fine mese e giovani che scappano all’estero. A questo dico no».

Enrico Santi

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