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Il branco lo tormentava «Gli lanciavano i petardi»

Salah,  nipote di Ahmed, sul luogo dove lo zio ha perso la vita. Nel parcheggio dove l’auto ha preso fuoco la sera del 13 dicembre  sono stati depositati vasi di fiori FOTO DIENNEIl rogo dell’auto nella quale ha perso la vita Ahmed la sera del 13 dicembre a Santa Maria di Zevio
Salah, nipote di Ahmed, sul luogo dove lo zio ha perso la vita. Nel parcheggio dove l’auto ha preso fuoco la sera del 13 dicembre sono stati depositati vasi di fiori FOTO DIENNEIl rogo dell’auto nella quale ha perso la vita Ahmed la sera del 13 dicembre a Santa Maria di Zevio
Salah,  nipote di Ahmed, sul luogo dove lo zio ha perso la vita. Nel parcheggio dove l’auto ha preso fuoco la sera del 13 dicembre  sono stati depositati vasi di fiori FOTO DIENNEIl rogo dell’auto nella quale ha perso la vita Ahmed la sera del 13 dicembre a Santa Maria di Zevio
Salah, nipote di Ahmed, sul luogo dove lo zio ha perso la vita. Nel parcheggio dove l’auto ha preso fuoco la sera del 13 dicembre sono stati depositati vasi di fiori FOTO DIENNEIl rogo dell’auto nella quale ha perso la vita Ahmed la sera del 13 dicembre a Santa Maria di Zevio

Gioventù che insulta, tormenta, provoca, picchia. Gioventù che brucia per noia, per gioco, per divertimento. Gioventù bruciata che fa del male ma non se ne rende conto: «Volevamo solo ridere un po’», «non pensavamo andasse così», «cercavamo emozioni forti». E’ un passatempo troppo praticato in Italia quello di colpire poveracci indifesi che dormono su una panchina, su un cartone o dentro una macchina come stava facendo, la sera del 13 dicembre a Santa Maria di Zevio, Ahmed Fdil, il «senzatetto gentile» benvoluto da tutti in paese. Marocchino, 64 anni, viveva dentro una Fiat Bravo sgangherata parcheggiata in via Alcide De Gasperi, a pochi metri dalle scuole elementari, dalla chiesa, dalla farmacia, dal bar, dall’edicola: era la sua casa, il suo letto, tutto ciò che aveva era lì dentro, cibo, vestiti, coperte per ripararsi dal freddo. Non dava fastidio a nessuno, la gente del posto lo chiamava «Gary», Gary il buono. La notte di Santa Lucia la sua esistenza ai margini è finita - pare - per uno scherzo imbecille: qualcuno ha giocato troppo con la sua debolezza e l’ha condannato a morte con il fuoco. Ahamed è bruciato dentro alla sua macchina scassata diventata in pochi secondi una bara incandescente. Chiamati a «spiegare» cosa sia successo quella sera ci sono due ragazzini del paese finiti sul registro degli indagati della Procura dei Minori di Venezia. A loro i carabinieri sono arrivati cercando le cause del rogo che inizialmente si pensava accidentali: una scintilla partita dalle sigarette che Ahamed fumava di continuo. Non sarebbe andata così. Lo scenario sarebbe invece quello gravissimo di una «bravata» finita in tragedia. E le conferme al magistrato lagunare che ha messo sotto inchiesta un tredicenne e un diciassettenne della zona arriverebbero da un testimone che quella sera è intervenuto per cercare di salvare Gary tirandolo fuori dall’auto in fiamme e da altri cittadini che da tempo assistevano agli attacchi che gli rivolgevano di continuo. Gino Capo ha visto tutto. «Ogni giorno venivano a dare fastidio al Gary», dice, «gli dicevano di tutto e gli facevano i dispetti fino a quando è successo l’irreparabile...». Venivano chi? «Ragazzini, buteleti che lo tormentavano perché lui era un buono, non avrebbe fatto mai male a nessuno, ed è facile prendersela con i più deboli». E continua: «Era da un po’ di giorni che lanciavano vicino alla sua macchina i petardi per spaventarlo, lui usciva per mandarli via, li inseguiva e loro scappavano... Da casa mia sentivo i botti ma quella volta lì hanno esagerato ed ecco il risultato: c’è un morto, un innocente carbonizzato da una banda di balordi». E’ preciso, Gino, nel ricostruire i momenti orribili di quella serata: «Ero in casa», racconta, «e ho sentito come al solito i botti dei fuochi nel parcheggio dove viveva Gary, ho guardato dalla finestra e ho visto la solita banda che scappava e le fiamme alte. Sono corso subito in strada, Gary nel tentativo di salvarsi aveva il busto fuori dal finestrino della Fiat ma aveva le gambe incastrate tra i sedili, gli ho preso la mano per cercare di estrarlo ma le fiamme erano forti e mi stavano bruciando. Allora, vedendo che la situazione era pericolosa, ho cercato nel mio furgone un estintore ma era poco carico e non sono riuscito a spegnere l’incendio: lui era una torcia, urlavo perché qualcuno chiamasse i soccorsi, da solo non riuscivo a fare niente ed è andata a finire così, nel modo peggiore». Gino è un testimone fondamentale per gli inquirenti. Con lui, ci sarebbe anche un altro residente che nei giorni precedenti era intervenuto per difendere Ahamed da uno dei soliti «attacchi» da parte del solito gruppo di ragazzini: gira voce che li avrebbe ripresi con il telefonino mentre gli tiravano i «raudi» e che il video sarebbe ora agli atti del pm. C’è pure una signora che conferma: «Li vedevo spesso a dargli fastidio, lo insultavano, si avvicinavano alla macchina e lo prendevano in giro. Andavamo a dire “basta, lasciatelo stare“ e loro si allontanavano ma poi ritornavano, come fosse il loro passatempo preferito. Nessuno pensava che sarebbero arrivati a tanto». Il nipote di Ahamed è arrivato da Barcellona per chiedere giustizia. Ieri è stato in via De Gasperi, «volevo vedere il posto in cui viveva mio zio e dove è stato ucciso: nessuno della famiglia sapeva che dormiva in una macchina, ma questo ora non è importante. Adesso voglio giustizia, questo è un omicidio e i colpevoli devono essere trovati. Sono adolescenti? Peggio ancora, non mi importa», si sfoga Salah Fdil, «vanno fermati subito, devono pagare per quello che hanno fatto: hanno ucciso un uomo per gioco, non c’è giustificazione». Gioventù che brucia. Gioventù bruciata perché con «Gary il buono» hanno dato fuoco anche alla loro vita. Volevano solo «fargli uno scherzo», diranno, senza capire che buttare un petardo dentro ad una macchina è grave, gravissimo. E’ odio. E’ violenza vigliacca. E’ rabbia. E’ mancanza di rispetto e di regole. Ed è una emergenza sociale. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Camilla Ferro

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