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A Montorio

I detenuti portano in scena il dramma di Büchner. Dieci minuti di applausi

A Montorio
Teatro in carcere a Montorio (Zambaldo)

Undici detenuti della Casa circondariale di Montorio, hanno portano in scena «Woyzeck», dramma incompiuto di Georg Büchner. L’evento, aperto solo su invito, si è svolto, nell’ambito del progetto nato nel 2014 per iniziativa della Direzione della Casa circondariale di Verona su proposta di Alessandro Anderloni, realizzato dall’associazione culturale Le Falìe e sostenuto fin dall’inizio dalla Fondazione San Zeno onlus.

Compagnia Teatro del Montorio è il nome che si è dato il gruppo di attori che ha già messo in scena gli spettacoli L’attesa della neve (2014), Senza il vento (2015), Speratura (2016), Invisibili (2017), Mercanti di storie (2017), lavorando a cadenza settimanale e coinvolgendo in quattro anni quasi cento tra detenuti e detenute appartenenti a tutte le sezioni. I testi della compagnia finora sono stati sempre originali e nati da un’attività di drammaturgia collettiva con gli stessi attori e attrici.

Non così per il lavoro di Georg Büchner, sul quale gli undici attori-detenuti del Teatro del Montorio si sono cimentati per la prima volta in un classico con adattamento e regia di Alessandro Anderloni, Isabella Dilavello e Paolo Ottoboni. «Cos’è dunque in noi che mente, uccide, ruba?». Si è mosso da questo interrogativo, dal mistero che inquieta ogni generazione, lo spettacolo che ha tratto spunto da documenti reali: gli atti e le perizie psichiatriche del processo a carico dell’omicida Johann Christian Woyzeck. «Il dramma resta in sospeso. Bisogna fare i conti con la sua incompiutezza, il suo essere frammentario, sfilacciato», aveva anticipato il regista Anderloni. «L’autore, che morì prima di terminare il suo lavoro di scrittura, ci lascia a confrontarci con il dubbio e con l’assenza di una soluzione/assoluzione. Ci lascia con la vicenda di un uomo e del suo destino di follia in mezzo ad altri uomini che sembrano non fare più caso alla propria follia. Ci lascia senza un giudizio o una condanna, tantomeno una giustificazione».

Dieci minuti di applausi e pubblico in piedi hanno salutato la conclusione dello spettacolo che Anderloni e la direttrice dell’istituto di pena Maria Grazia Bregoli non disperano di poter portare al grande pubblico in un teatro cittadino.

Vittorio Zambaldo

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