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Ha la febbre da giorni Sviene e muore a 11 anni

Elia Rizzotti in un momento di svago assieme al papà ThomasIl papà di Elia, Thomas, mentre parla con la nostra cronista davanti a casa a Lavagno DIENNEFOTO
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Elia Rizzotti in un momento di svago assieme al papà ThomasIl papà di Elia, Thomas, mentre parla con la nostra cronista davanti a casa a Lavagno DIENNEFOTO
Elia Rizzotti in un momento di svago assieme al papà ThomasIl papà di Elia, Thomas, mentre parla con la nostra cronista davanti a casa a Lavagno DIENNEFOTO

E’ tutto come l’ha lasciato domenica sera prima di perdere i sensi e non svegliarsi più. La rana, il suo pelouche inseparabile, è in camera sul letto. Le scarpe nere da ginnastica, le sue preferite, sul pianerottolo di casa insieme ai palloni da calcio. C’è anche la borsa dell’A.c. Colognola, rimasta dove lui l’ha messa dopo l’ultimo allenamento di mercoledì. «Ci ha voluto andare anche se già non si sentiva bene», ripete mamma Claudia imitando la stessa cadenza con cui Elia l’aveva convinta a dirgli sì, «perchè altrimenti domenica il mister non mi convoca in partita, dai ma’, capisci». Lei ha capito e ora è contenta «perchè almeno non ho rimorsi, perchè così ha fatto la sua ultima corsa felice», si consola, «su e giù per il campo, viveva per quello e ha giocato fino a quando ha chiuso gli occhi». Puntuale come pochi anche se aveva mal di testa, mercoledì Elia s’è presentato all’allenatore, ha provato gli schemi e i tiri in porta, ha segnato e ha alzato per l’ultima volta le braccia al cielo. «Adesso lassù c’è davvero», piange Claudia, «il mio amore, il mio scricciolo tutto sorrisi e allegria, la mia vita, adesso è il più bello degli angeli, ma perchè? Cos’è successo? Che incubo è questo? Cos’è questo virus che me l’ha ucciso?». Undici anni, il secondogenito della famiglia Rizzotti di San Pietro di Lavagno, è morto nella notte tra lunedì e ieri nella terapia intensiva pediatrica di Borgo Trento dove è arrivato domenica sera in condizioni disperate dopo che il Suem l’ha soccorso a casa in arresto cardiaco. «L’hanno rianimato per più di un’ora», spiega papà Thomas, «riuscendo a recuperare il battito, l’hanno intubato e trasferito d’urgenza in ospedale a Verona. Ci hanno detto subito che la situazione era grave ma io e Claudia ci siamo fatti forza, lui è sano, ci siamo detti, è uno sportivo, ce la farà, adesso lo curano e anche se dovesse avere danni per la mancanza di ossigeno, come ci hanno spiegato, a noi non importa. In qualsiasi modo, ma volevamo riavere con noi Elia». Quello che è successo dopo, però, è stata una discesa continua verso il baratro. E’ papà Thomas a ripercorrere le ore tremende dopo l’arrivo domenica notte al Polo Confortini. «Durante il tragitto, il cuore s’è fermato di nuovo ma il medico a bordo l’ha ripreso, arrivato al Pronto Soccorso è stato subito ricoverato in rianimazione, siamo stati lì tutta la notte, aspettavamo che ci dicessero qualcosa, verso le 5 ci hanno convinti a tornare a casa, che la situazione era grave, che forse avrebbero provato ad operarlo, insomma, che c’era poco da sperare per Elia e che era meglio se andavamo a riposare». Papà Thomas parla con gli occhi pieni di lacrime. «Proprio domenica era il mio compleanno», singhiozza, «eravamo tutti sul divano, Mattia il più grande giocava alla play station, Elia era mogio, non parlava, mi ha promesso che appena si sarebbe rimesso saremmo andati insieme al centro commerciale a comperare il mio regalo. Eccolo invece il mio regalo, me l’ha fatto il Padreterno togliendomi un figlio speciale, eccezionale... la mia vita finisce qui, devo andare avanti per l’altro che ha solo 15 anni e soffre come un cane, devo farmi forza per Claudia, per i nonni, tornerò a lavorare, ma che senso ha? E’ tutto finto, lui non c’è più e io sono morto con lui». Claudia e Thomas rientrano a Lavagno, all’alba del lunedì, con poche speranze. Alle 10 ricevono una telefonata dal reparto che la situazione s’è ulteriormente aggravata e che anche l’ipotesi di un intervento chirurgico è svanita, impossibile operare Elia. C’è solo una cosa, però, che si può fare e che i genitori possono valutare: donare le cornee. «E’ stato facile dire sì, non ci abbiamo pensato tanto», conferma la mamma, «almeno così i suoi begli occhi chiari non smetteranno di vedere il mondo, di vivere, di andare avanti. Se fosse stato possibile farlo anche con altri organi, avremmo dato l’ok. Elia avrebbe voluto così, buono come era». Poi, di nuovo il tarlo: «Adesso però vogliamo sapere cosa ha ucciso il nostro bambino», sbotta Thomas, «abbiamo detto ai dottori che possono prendere tutto quello che può servire a far stare meglio altri ma che ci devono dare delle risposte. Vogliamo sapere perchè abbiamo perso in questa maniera assurda nostro figlio. E allora, con molta delicatezza, ci hanno spiegato che deve essere stato un virus che ha infettato il cuore mandando in tilt anche i polmoni, che sono andati in blocco anche i reni e che comunque ogni dubbio sarà chiarito con l’autopsia: sarà fatta subito dopo l’espianto delle cornee». Elia ha iniziato a star male mercoledì sera, giovedì mattina aveva la febbre e non è andato a scuola: «in giro c’è l’influenza, lui è arrivato ad avere 39», riprende il papà. Venerdì mattina mamma Claudia l’ha portato dal pediatra, la visita ha confermato lo stato influenzale, gola a posto, sarebbero bastati tachipirina e bere tanto; se dopo tre-quattro giorni la febbre non fosse scesa, si sarebbe valutato l’antibiotico. Non c’è stato il tempo: domenica sera Elia, spossato, ha chiesto a mamma di accompagnarlo in bagno e poi, nel riportarlo sul divano, s’è accasciato e non è stato più «contattabile» come dicono i medici per definire il coma. «Era speciale, sempre disponibile, premuroso, aveva il sorriso che conquista e tutti gli volevano bene», ripete di continuo Claudia, «non si poteva dirgli di no e anche mercoledì ha vinto lui, per fortuna l’ho lasciato andare al suo ultimo allenamento». Ha il dolore che esce dagli occhi, questa mamma disperata, dalle mani mai ferme, dal corpo ghiacciato, «senti che freddo c’è», continua a dire, «anche se fuori c’è il sole, io ho tanto freddo». E’ il gelo che sale da dentro e paralizza, «era freddo anche Elia, non andrà mai via questo tremore, questo brivido continuo, io non mi riscalderò più, senza di lui non ha più senso nulla». Thomas la abbraccia, solo uniti possono affrontare la tragedia che li ha devastati: «Lo chiamavamo Lilly, era il suo soprannome perchè era minuto, mingherlino, vedevi la cartella prima di lui, eppure aveva una energia, una forza, un carisma unici. Era il migliore, era il mio cucciolo e adesso voglio sapere cos’è successo». •

Camilla Ferro

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