<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
PROCESSO D’APPELLO

Giacino e Lodi,
condanne
con lo sconto

L’ex vicesindaco Vito Giacino e la moglie Alessandra Lodi
L’ex vicesindaco Vito Giacino e la moglie Alessandra Lodi
L’ex vicesindaco Vito Giacino e la moglie Alessandra Lodi
L’ex vicesindaco Vito Giacino e la moglie Alessandra Lodi

 

L’impianto accusatorio, ovvero l’aver indotto un impresario a pagare per evitare rallentamenti nell’approvazione delle varianti per l’edilizia popolare, ha retto. Ma per la prima sezione della Corte d’Appello di Venezia il comportamento contra legem dell’ex assessore Vito Giacino e della moglie Alessandra Lodi esiste solo limitatamente al pagamento delle fatture emesse da quest’ultima e riferite a «consulenze» che l’avvocato Lodi aveva effettuato per l'impresario. Quelle fatture che per l’accusa altro non erano che «tangenti mascherate».

Entrambi ieri erano a palazzo Grimani, sede della Corte, a pochi metri dal loro accusatore, ma a differenza dell'imprenditore non hanno atteso la lettura del dispositivo avvenuta poco dopo le 18. Se ne sono andati dopo che i loro legali avevano terminato di replicare al procuratore generale Antonino Condorelli.

RESTA LA CONCUSSIONE. I reati restano il 317 e il 319 quater, ma sono stati assolti per quanto riguarda le dazioni di contante, quel mezzo milione di euro che l’imprenditore affermò di aver consegnato in diverse occasioni, e di conseguenza per entrambi la condanna è stata ridotta: 3 anni e 4 mesi per l’ex politico, 2 anni e 4 mesi per la moglie.

Revocata l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per Alessandra Lodi e, conseguenza dell’assoluzione per quel che riguarda le dazioni in contanti, la Corte ha revocato la confisca del mobilio fornito dalla SAS Ambienti ufficio. Mobili che, come sostenne Giacino, erano stati acquistati con il denaro incassato in nero per alcune pratiche legali.

Dovranno rifondere le spese alle parti civili (il Comune di Verona e l’imprenditore) e la Corte ha, nel resto, confermato la sentenza di primo grado emessa dal giudice dell’udienza preliminare Giuliana Franciosi e quindi anche il risarcimento al costruttore che il giudice di prime cure fissò in 20mila euro.

LA CASSAFORTE VUOTA. Rappresenta uno dei punti attorno al quale la difesa della coppia (Filippo Vicentini e Renzo Fogliata per lui, Apollinare Nicodemo per la moglie) ha insistito fin dall’inizio del processo. Uno dei punti mirati a smentire la versione dell’imprenditore che denunciò di aver versato a Giacino, nel 2008, 110mila euro «quale retribuzione di una mediazione di vendita» e per l’accusa «garanzia dell’edificabilità di una zona al Porto San Pancrazio», di aver corrisposto 300mila euro in tranche da 40.000/50.000 ciascuna nel 2010 per l’approvazione della «variante contro locazione» al Pestrino, Fenilon e Montorio, e infine di aver consegnato nel 2011 l’anticipo di 100mila euro sulla maxi tangente di oltre un milione chiesta per «rendere edificabili i lotti di a Quinzano, Montorio, Porto San Pancrazio e Santa Lucia Fenilon».

Denaro che l'impresario aveva giustificato come una provvista derivante da vendite in nero precedenti all’affare Ater. Per le difese del politico ciò non era possibile: ai tempi dell’inchiesta sulle tangenti versate al dg di Ater la Finanza non trovò contante e in quel periodo l’imprenditore si era fatto prestare denaro dal suocero. È uno degli elementi utilizzati fin dai tempi dall’incidente probatorio per minare la credibilità di chi denunciò l’ex vicesindaco. Però, e la condanna di ieri lo conferma, se il solo pagamento delle «fatture per le consulenze» è stato sufficiente a concretizzare un indebito vantaggio per il politico perché l'impresario avrebbe dovuto «aumentare» gli importi e introdurre il contante? Sarà una delle circostanze, la più importante, che la Corte dovrà motivare poiché è l’unica ipotesi dell’accusa che ieri non è stata confermata.

LE «CONSULENZE». Cinque quelle pagate e che hanno indotto la Corte a mantenere l’accusa contenuta nel 319 quater, tutte rilasciate da Alessandra Lodi tra il 2010 e il 2012 e saldate a varie società che fanno capo all'imprenditore. Come ha ricostruito nella requisitoria il procuratore generale, quelle consulenze non erano reali, o meglio non si riferivano a un lavoro effettivamente svolto dall’avvocato Lodi. Un assunto confermato non solo dalla circostanza che l'impresario aveva, e ha, da anni uno studio legale dedicato che si occupa degli affari delle sue aziende ma anche dal contenuto delle conversazioni - intercettate - tra l’avvocato Lodi e la madre piuttosto che con i conoscenti. In quelle chiamate, per l’accusa, emerge con evidenza che senza il marito non potrebbe guadagnare e continuare a tenere un elevato tenore di vita. La dimostrazione, per l’accusa, che quelle consulenze erano «tangenti» e lei una sorta di «ufficiale di collegamento». Pene ridotte ma resta la condanna.

Fabiana Marcolini

Suggerimenti