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«Genitori, chiedete aiuto
Da soli non ce la fate»

Giovani e droghe «leggere»: un fenomeno sempre più diffuso
Giovani e droghe «leggere»: un fenomeno sempre più diffuso
Giovani e droghe «leggere»: un fenomeno sempre più diffuso
Giovani e droghe «leggere»: un fenomeno sempre più diffuso

«Come va Andrea?». «Tutto bene, mamma». E invece no. Ad un certo punto non va più bene nulla. I voti a scuola che crollano, le compagnie che cambiano da un giorno all’altro. «Ho capito subito che stava succedendo qualcosa», racconta Franca, «mio figlio è sempre stato uno mite. E che a casa portava una sfilza di nove». Poi è cambiato tutto.

ANDREA. «Mi sono immedesimata in quella madre di Lavagna. Suo figlio si è gettato da una finestra, ma è lo stesso ricatto morale che chi ci è passato si è sentito fare: “Vuoi che mi uccida?“. Io però mi sento fortunata». Perché Franca è una di quei genitori che se ne sono accorti in tempo. «E ho cominciato a seguirlo per il paese ogni pomeriggio, a dirgli “guardami in faccia e dimmi tutto“». A 16 anni Andrea ha cominciato a bere e a farsi le canne: quattro, cinque al giorno. Ma siccome la mamma non gli dava un centesimo, ha iniziato a spacciare a sua volta. E a provare altre sostanze. La madre l’ha fatto prima seguire da uno psicologo e adesso sta affrontando in comunità il lungo percorso per uscirne. Le ha scritto una lettera: «Mamma, non è stata colpa tua». Franca sospira: «Ai genitori dico: da soli non ce la farete mai. Non vergognatevi a chiedere aiuto. E parlate ai vostri figli, guardateli in faccia. Certe cose non si vedono solo se non si vogliono vedere».

DENISE. Denise si faceva ogni giorno. Passava gran parte delle giornate sui treni: con i suoi non c’erano più rapporti. «Dopo tre anni che mia figlia era in comunità», racconta Lorenzo, il papà, che ha raccontato la sua storia a «Diretta Verona», «ho capito gli errori che facevamo. Non capivamo i suoi comportamenti all’inizio, pensavamo fosse solo “colpa“ dell’adolescenza. Senza le forze dell'ordine e qualche amico oggi mia figlia non sarebbe qui. Io ho vissuto un’esperienza simile a quella di Lavagna: in uno dei momenti di massima crisi la chiusi in una stanza. Lei con un pugno ruppe il vetro del bagno e stava per buttarsi dal terzo piano. La presi appena in tempo».

GIULIA. «Io ho cominciato a bere e a farmi le canne a 12 anni. A 16 ho provato l’eroina. Compravo la droga e la fumavo a scuola, con un’amica. Poi avevo più di un’ora di autobus e quando arrivavo i miei non si accorgevano di niente». La storia di Giulia comincia così. Ma quando a casa la situazione familiare precipita e arriva a denunciare il patrigno, qualcosa si rompe definitivamente. Prima finisce a centinaia di chilometri di distanza, ospite di un’amica, poi viene presa in carico dai servizi sociali. Ma viene sorpresa a drogarsi in un centro per minori, la mandano via e comincia a girovagare per diverse case. Non ha un posto fisso dove stare, fa diversi lavoretti e per un breve periodo arriva a rubare. Per comprarsi la marijuana, la cocaina e gli acidi: «Ma non mi sentivo una tossica. I tossici per me erano solo quelli che si facevano le pere». A vent’anni si fidanza con uno spacciatore che fa la spola con Milano per andare a comprare l’eroina da rivendere e comincia ad assumere regolarmente anche quella. Nei fine settimana si sposta con il treno «per fare il carico». «I miei amici mi dicevano che stavo buttando la mia vita e non me ne rendevo conto. Ma quando ti droghi hai una visione del mondo tutta tua, sei convinto che siano gli altri a sbagliare e che tu abbia sempre ragione». Alla fine il suo ragazzo viene arrestato. E dopo aver trascorso mesi da incubo si convince ad entrare a San Patrignano: «Era l’unica possibilità che mi era rimasta. Lì mi hanno salvato la vita».

CHIARA. «Giá a 13 anni mi vendevo per una busta di eroina, per andarmi a bucare. A 14 ero la ragazza di un tunisino che spacciava. Lo facevo ovviamente solo per la mia dose quotidiana». Anche Chiara, che all’inizio come tanti è stata seguita dall’Agaras di Verona, oggi ne è uscita. «All’epoca il problema era che non volevo pensare ai miei problemi ed essere libera dalla mia famiglia. Ma non mi accorgevo che ero schiavizzata dalla droga». Guarda con occhi diversi quello che un tempo era il suo mondo: « A Verona conosco tutti i pusher: ancora oggi non sono cambiati. E non sono cambiati nemmeno i posti. Se giro in città e mi capita di rivedere qualcuno li saluto, ma provo un po’ di pena. Perché forse non scopriranno mai cos’è la felicità».

Riccardo Verzè

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