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"PARTY" DIETRO LE SBARRE

Festa del boss
in cella a Montorio
Scoppia la polemica

Il festino dietro le sbarre
Il festino dietro le sbarre
Il festino dietro le sbarre
Il festino dietro le sbarre

La foto della festa in cella tra detenuti, pubblicata nelle scorse settimane su un profilo «coperto» di Facebook, solleva polemiche e preoccupazioni sullo stato di sicurezza del carcere di Montorio.

Una festa di compleanno, due tavolini uniti e imbanditi con piatti e stoviglie di plastica, coca cola e fettine di torta. Un selfie collettivo, tra cui spunta anche Emanuel Demaj, boss albanese, ritenuto capo di una banda di rapinatori, a cui era già stato trovato un cellulare nel carcere di San Pio X a Vicenza.

Un’immagine che parla da sé e racconta frammenti di vita di quel mondo, dietro le sbarre, un tempo considerato a sè stante, lontano e irraggiungibile. Quella distanza, però, sembra ora sfumata via, perché nell’era della tecnologia digitale è sufficiente un telefono cellulare per mettere in connessione anche luoghi che non dovrebbero esserlo. In carcere, infatti, i cellulari sono vietati, come è vietato il collegamento Internet. Eppure Emanuel Demaj, è emerso dall’inchiesta della procura vicentina, chiacchierava tranquillamente con il fratello Erion, anche lui in cella a Lione. E questi non sono casi isolati.

Ed è poi possibile che in carcere, dove nell’immaginario collettivo, si sta in punizione in una cella, ci sia la possibilità di «socializzare» con feste di compleanno e banchetti?

«Da quando è stato introdotto il regime aperto, i detenuti possono stare almeno otto ore al giorno insieme nei corridoi, e controllarli è molto più difficile», racconta il segretario provinciale del Sappe Gerardo Notarfrancesco. «A pranzo e a cena vengono rinchiusi nelle celle, ma nel resto del tempo può capitare che si riuniscano e apparecchino due tavolini: purtroppo non ci può più essere la sorveglianza di una volta».

E se la «festa di compleanno» desta scalpore, ancora più grave è la presenza di telefonini nel penitenziario di Montorio: in media, secondo i sindacati, se ne ritrovano due al mese. I detenuti che vengono pizzicati con un cellulare rischiano come punizione l’isolamento fino a un massimo di 15 giorni, oltre ovviamente al sequestro del telefono. «In passato avevamo chiesto di schermare l’intera casa circondariale per farli smettere di funzionare, ma ci era stato risposto che non era possibile, perché ciò avrebbe limitato l’utilizzo dei dispositivi e l’accesso a Internet anche al personale che opera all’interno della struttura», prosegue Notafrancesco. «Purtroppo i canali per far entrare i cellulari sono molti e, nonostante i controlli, è difficile evitare che ciò accada».

Lo scorso anno era stata ritrovata una busta, lanciata nel cortile dall’esterno del carcere, con all’interno tre-quattro telefonini. Ma di una cosa, gli agenti di polizia penitenziaria sono certi. I pacchi con cibo e vestiti inviati o consegnati dai familiari ai detenuti vengono accuratamente controllati e passati anche al metal detector: difficile che qualcosa sfugga. Più probabile, nonostante le verifiche, che i telefonini entrino attraverso le numerose persone che ogni giorno varcano i cancelli di Montorio: parenti dei detenuti, avvocati, infermieri, insegnanti, persino gli stessi agenti di polizia penitenziaria. Ma la risposta non tarda ad arrivare. «Le responsabilità di quello che sta succedendo vanno cercate altrove e non possono ricadere sulla polizia penitenziaria, ultimo baluardo della legalità nelle carceri Bronx», è il commento di Alfredo Santagata, della segreteria provinciale Osapp. «Noi non siamo contro il recupero dei detenuti, ma non vi può essere trattamento senza sicurezza».

Manuela Trevisani

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