Scanner per intercettare le conversazioni delle forze dell’ordine, appuntamenti in luoghi affollati, scambi di battute con linguaggio criptico, dove termini come «fattura», «progetti», o «spritz» e «aperitivi» diventano parole in codice per riferirsi allo scambio di droga.
È un modus operandi «professionale», come viene definito nell’ordinanza, quello utilizzato dai tre calabresi residenti a Verona e arrestati nell’ambito dell’inchiesta «Fiore reciso» sulle infiltrazioni della ’ndragheta in Veneto: Antonio Giardino, imprenditore di 49 anni, Pasquale Pullano, operaio di 41 anni di San Martino Buon Albergo, e Giuseppe Cozza, operaio di 43 anni, domiciliato a Bovolone.
L’indagine ha portato alla luce un’organizzazione specializzata in false fatturazioni, realizzate per movimentare ingenti quantità di denaro e sostenere un giro di spaccio di sostanze stupefacenti, per un totale di sedici persone arrestate in Veneto (sette in carcere, tra cui Pullano e Cozza, e nove ai domiciliari, tra cui Giardino). I tre «veronesi» sono ritenuti i fornitori di droga.